In un’annosa controversia che vede da otto anni contrapposti una paziente e un odontoiatra – controversia dai risvolti civili (un accertamento tecnico preventivo (ATP) art. 696-bis c.p.c., ripetute con allargamento del collegio peritale l’anno successivo) e penali (primo, secondo grado e Cassazione che ha annullato tutto e rimandato al giudice civile) -, uno degli elementi determinanti che ha consentito l’assoluzione del professionista nel primo grado penale fu l’utilizzo di alcune fotografie col fine di smentire le affermazioni della parte offesa
Il fatto
La paziente XY contestava al professionista, tra le altre cose, un “collasso del morso” a seguito di provvisori mal eseguiti, rimossi e mai sostituiti, né dall’imputato tantomeno da successivo operatore. La paziente più volte affermò, anche sotto giuramento, che dall’interruzione del rapporto professionale non fece più protesizzare i monconi dei quadranti I e IV, con conseguente collasso del morso.
Nel corso del procedimento penale vennero prodotte dal legale della paziente alcune fotografie, finalizzate a dimostrare la propria tesi contro il professionista. Tuttavia, tali scatti risultarono favorevoli all’imputato, in quanto da un’attenta analisi degli exif (figura 1) effettuata dal consulente tecnico dell’odontoiatra emerse che tali fotografie, nelle quali erano presenti dei ponti provvisori in arcata, risultavano scattate cinque mesi dopo l’ATP, in cui la ricorrente aveva già dichiarato in sede civile ai CCTTUU di non aver più protesizzato nemmeno provvisoriamente i denti.
Tale circostanza fu ribadita sotto giuramento dalla parte offesa in udienza e durante le operazioni peritali per il primo grado del procedimento penale, avvenute nel settembre 2019. Si potrebbe obiettare che gli exif avrebbero potuto essere modificati. Tuttavia, nel caso specifico le foto erano state prodotte dalla persona offesa, per cui i dati estrapolati e utilizzati a discolpa del professionista non furono (ovviamente) mai messi in discussione.
Questo è sicuramente un caso paradossale, ma è utile per dimostrare l’importanza della fotografia in odontoiatria, anche (e soprattutto) in ambito medico-legale. Nell’ambito della responsabilità contrattuale è noto che l’onere della prova sia a carico del professionista chiamato a rispondere del proprio operato (ex art. 1218 c.c.1).
In altre parole, il paziente che ritiene di voler intraprendere un’azione risarcitoria nei confronti del proprio dentista o dell’ambulatorio odontoiatrico, al quale si era rivolto per le cure, deve provare l’esistenza del rapporto professionale e il peggioramento che ne è conseguito, mentre la controparte dovrà dimostrare di aver ben operato o che l’evento occorso non sia dipeso dalla sua volontà o che non sia a lui ascrivibile come difetto di condotta.
Se è pur vero che la maggior parte delle prestazioni odontoiatriche nel nostro Paese sono erogate in regime privatistico, ambito in cui non vi è obbligo di redigere e conservare la cartella clinica, è altrettanto vero che le disposizioni del Codice Deontologico e innumerevoli sentenze di Cassazione stigmatizzano l’incompletezza della cartella clinica2, l’imperfetta compilazione e la difettosa tenuta della medesima3, e ribadiscono l’esigenza di provare la correttezza della prestazione medica da parte del danneggiante4 e di provare che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile5, rendendo di fatto necessario il fascicolo odontoiatrico anche nei nostri studi/ambulatori. Tra tutta la documentazione che dovremmo allegare al fascicolo del nostro paziente non dovrebbero mai mancare le fotografie scattate in fase pre-cure e al termine delle medesime, in modo da definire con precisione ciò che è stato fatto o meno e come è stato fatto. E nel caso di interventi particolarmente complessi, anche durante le cure (intraoperatorie in caso di chirurgia ad esempio).
Le fotografie rivestono un valore particolarmente rilevante in quanto, ai sensi dell’art. 2712 c.c., formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate. In ambito penale poi la documentazione costituisce vero e proprio mezzo di prova. L’art. 234 del c.p.p. recita al primo comma: “È consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”. L’avvento del digitale ha ormai nei fatti mandato in pensione le vecchie macchine fotografiche “analogiche”, almeno nei nostri studi. Dallo smartphone alla reflex, a macchine in grado di inserire direttamente nel fascicolo odontoiatrico del paziente le foto, tutti noi siamo in possesso di uno strumento per scattare una fotografia. Come dice bene il professor Giorgio Gastaldi6 “chi realizza la fotografia è il fotografo, non la fotocamera”, e per eseguire una fotografia in grado di dimostrare uno statu quo occorre un impegno minimo e un investimento economico altrettanto contenuto, se non si vogliono produrre immagini per presentazioni congressuali.
La caratteristica peculiare della fotografia digitale, come anticipato nel caso presentato in apertura dell’articolo, è che all’interno del file sono contenute informazioni che non sono strettamente riconducibili alla rappresentazione, ma che comunque hanno attitudine rappresentativa in sé, portando traccia della data di esecuzione e dei parametri utilizzati per lo scatto, di eventuali modifiche (laddove il file sia modificabile) e della macchina usata. Una vera miniera di informazioni per il mondo medico-legale. L’obiezione che potrebbe sorgere è che il digitale si presti a facili manomissioni con programmi di fotoritocco. Qual è la soluzione? Occorre settare le macchine fotografiche a scattare, e conseguentemente archiviare le nostre fotografie, in formato raw, un formato “grezzo” non modificabile, una sorta di negativo dei tempi della fotografia analogica.
“La documentazione sanitaria non si limita ad avere una funzione interna allo svolgimento della cura ma assume altresì una duplice funzione esterna: da un lato, infatti, la documentazione sanitaria rappresenta la fonte principale di conoscenza al fine della valutazione della correttezza e congruenza dell’operato dei professionisti nell’assistenza del paziente, e dall’altro, permette l’astrazione dal singolo caso clinico e, dunque, l’analisi delle prassi e della concretizzazione del rischio, in un’ottica generale volta alla prevenzione e alla sempre maggiore sicurezza del paziente” 7.
Art. 2712 c.c.
Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime
Da non sottovalutare infine il potere comunicativo di una fotografia, che vale più di mille parole, e di immediata comprensione anche per i non addetti ai lavori. E dal momento che il contenzioso nasce principalmente dalla mancanza di comunicazione tra medico e paziente, vi consiglio di valutare l’importanza di scattare sempre le foto prima e dopo le cure ai vostri pazienti, e archiviarle in luogo sicuro che vi consenta di averle prontamente disponibili in caso di necessità. Il tutto nel rispetto della normativa sulla privacy.
note 1
- Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
- Cass Civ, Sez III n° 12218/2015 –
- Cass Civ, Sez III n° 6209/2016 –
- Cass. Civ. Sez. III n° 26428/2020 –
- Cass. Civ. Sez. III n° 5238/2020 –
- Fotografia clinica: strumento essenziale per uno studio odontoiatrico moderno.
Doctor OS, Ariesdue, Gennaio 2022 – 7 La Responsabilità medica – Documentazione Sanitaria e Processo Penale UTET Giuridica 2019 II edizione
Take home message
Call for action: scattare foto prima dell’inizio delle cure e al termine, archiviandole in formato raw.