Trovandomi a coordinare, con l’amico e collega Paolo Coprivez (Presidente Oris Broker, gruppo A.N.D.I.), un convegno sulla medio-conciliazione (Roma, A.N.D.I., 20/21 gennaio), ho potuto assistere ad una relazione di Luca Fedi, odontoiatra pistoiese, esperto e formato in odontologia forense.

Il tema è fondamentale per chi come noi si occupa di conciliazione e di gestione stragiudiziale del contenzioso ma mi ha colpito, della relazione Fedi, la originalità della presentazione e la profondità intellettuale della trattazione.

Gli ho quindi richiesto di comprimere la relazione in un format adatto alla stampa che volentieri presento nella mia ormai più che decennale rubrica, sicuro di fare a tutti noi un servizio, invitandoci ad una riflessione sul tema del dialogo, e di riflesso sull’ascolto.

Dunque, perché è importante dialogare secondo Luca Fedi? Perché alla base di ogni interazione vi è la necessità del dialogo ed il dialogo favorisce l’interazione tra le persone, anche sul piano tecnico operativo.
Grazie a Luca di averci concesso un contributo davvero illuminante.

Perché dialogare?

Se fosse così ovvia la risposta alla domanda e se fosse così chiaro per tutti che la migliore strada per avvicinare posizioni lontane e ideologie contrapposte sia il dialogo, come mai nella storia millenaria, fino ai nostri giorni, è possibile trovare così numerosi e terribili esempi di fallimento e di negazione del dialogo?

Ogni qualvolta è scoppiata una guerra, dai tempi di Caino e Abele, ogni qualvolta si è torturato, discriminato e oppresso, ogni qualvolta ha prevalso la sopraffazione e la violenza è perché il dialogo ha fallito, è perché la dialettica è stata accantonata per dar voce agli atti di forza, è perché gli uomini e con essi la politica, intesa come gestione della cosa pubblica e del potere, sono rimasti lontani da logiche di dialogo autenticamente interessato, estranei ad intenzioni di convivenza comune su basi pacifiche.

In Iran è dal 2007 che il dialogo fra cattolici e musulmani è sospeso e nei casi di apostasia si può ricorrere alla sharia ed essere condannati a morte. Fra Ucraina e Russia la tensione è altissima e centinaia di migliaia di soldati sono ammassati ai rispettivi confini in atteggiamento ostile. Il Corno d’Africa è nel caos e la guerra civile è degenerata in massacri e pulizie etniche. È sotto gli occhi di tutti la tragedia del popolo afghano.

E più vicino a noi, nella nostra società, buoni contro cattivi, chi ha ragione contro chi non ce l’ha, destra contro sinistra, vaccinati contro no vax, nessun confronto: tu stai di là, io di qua e via di insulti sui social. Sembra che non ci sia la capacità di opporsi a queste fratture che inquinano il dialogo, disperdono il buon senso ed enfatizzano le diversità.

Fermi su posizioni granitiche a difesa di convinzioni ritenute infallibili, sono andate perdendosi l’abitudine e la voglia di dialogare. È nostro compito creare le condizioni per incoraggiare un atteggiamento diverso, utile a guardare cose e fatti non solo con i nostri occhi, ma anche con quelli dell’altro, a tener conto delle prospettive altrui, anche se opposte. Dialogare significa allontanarsi dai rispettivi pregiudizi, aver voglia di ascoltare e cercare di capire mettendosi in dubbio. Il fine è raggiungere una posizione condivisa.

È l’arte del dia-logos la più proficua via per cercare il terreno comune tra posizioni apparentemente inconciliabili, imparandone noi stessi la difficile disciplina.

È necessario superare l’istinto di ignorare il pensiero diverso dalle nostre convinzioni. È l’arte del dia-logos la più proficua via per cercare il terreno comune tra posizioni apparentemente inconciliabili, imparandone noi stessi la difficile disciplina.

Sappiamo bene che la cultura occidentale è figlia naturale della cultura greca, cultura che rappresenta l’origine della nostra civiltà. L’amore per il sapere divenne per i Greci una vera e propria disciplina: la filosofia, appunto, che è la scienza che si occupa della ricerca della conoscenza.
Philos: amico e sophia: sapienza.

È dai grandi filosofi greci, in primis Socrate e Platone suo discepolo, che discende la nostra impostazione concettuale sul dialogo. Oggi non esiste più il mito dei 7 sapienti, come nell’antica Grecia, noi oggi la sapienza l’abbiamo perduta e al massimo possiamo aspirare ad essere filosofi, cioè amici, aspiranti, in cammino verso la sapienza.

Socrate è stato il protagonista dell’arte del dialogo e con la sua brachilogia e con l’ironia socratica ci ha lasciato, assieme a Platone, il fondamento teorico dell’opportunità del dialogo.

Sappiamo che la verità assoluta non esiste. Ci può essere una condivisione e il dialogo rappresenta il mezzo per giungere a questa condivisione. Non puro artificio retorico per portare alla persuasione, ma confronto fra punti di vista diversi, tutti legittimi. Pluralità delle ragioni, quindi, ognuna degna di rispetto.

Il dialogo come strumento di ricerca per arrivare a una verità condivisa. Sono stati quei grandi pensatori ad insegnarci che il dialogo obbliga noi stessi e l’interlocutore a precisare bene i motivi e i termini delle questioni per arrivare ad essere, così, un elemento di chiarezza e mettere in condizione noi e gli altri di capire in profondità e trovare soluzioni con l’obiettivo di raggiungere una ragione condivisa senza volere, a differenza dei sofisti, imporre le proprie convinzioni con l’abilità della retorica.

La verità non è considerata, insomma, alla stregua di un assioma, come nella geometria euclidea, ma al contrario come l’esito di un processo con il quale l’uomo la ricerca mettendosi in dialogo con altri uomini.

Iniziare un dialogo non significa legittimare posizioni che ci sembrano inaccettabili, significa solo essere convinti che chi ci sta davanti ed argomenta con noi non è un pazzo o nemico, ma persona con convinzioni del tutto legittime, anche se diverse dalle nostre. Forse bisognerebbe ascoltare di più, con maggiore attenzione e intenzione, e capire che il silenzio è un momento importante nel dialogo.

Non accettare il dialogo e irrigidirsi sulle nostre posizioni ci fa forse sentire al centro del mondo, preparati ed infallibili, ma non produce certo il risultato più importante che è giungere all’accordo.

Ciò che mi affascina del dialogo è la magia che provoca: dove io vedo un bivio, il dialogo mi apre una pluralità di strade, perché quasi mai le alternative si riducono a due e dialogando mi si aprono viottoli che non avevo visto. Detesto litigare, mi debilita, mi intristisce e mi confonde. Non credo nello scontro costruttivo e percepisco con disagio tutte le crepe che lascia la contrapposizione accesa. La soddisfazione maggiore la provo dopo la spiegazione, l’avvicinamento e l’accordo.

Perché dialogare quindi?

Perché col dialogo ci si conosce come persone e si tende a passare da un’idea, da un concetto, da una tesi a volte apodittica, da un tecnicismo a qualcosa che ha carne e ossa, a persone che operano in luoghi e tempi precisi, con tutto quello che ciò comporta a livello di circostanze e situazioni. Si favorisce, cioè, il passaggio dalla trappola dell’astrattezza al rapporto fra persone con la concretezza e l’avvicinamento che la relazione interpersonale comporta. Perché il dialogo è concretezza, è materialità, è un bisogno e all’interno di questo bisogno può svilupparsi qualcosa che sgancia dalla contrapposizione pura per assumere una dimensione diversa, orientata alla relazione reciproca ed alla comunicazione dialogica.

Perché dialogare ancora?

Perché il dialogo non è chiacchiera pura e semplice, ma permette di confrontarsi per passare da un’analisi inautentica alla realtà più profonda delle cose.
Perché col dialogo si entra all’interno di una relazione instaurata, non più fatta di sole nozioni tecniche, bensì definita da categorie di valori personali. 

Perché la mancanza di dialogo crea malintesi e frustrazioni. La parola è sempre parola detta a qualcuno, è sempre parola che mira a creare una relazione comunicativa. Non è pensabile un linguaggio che non sia interpretazione e comunicazione. Un monologo è infruttuoso e avviene solo dopo che il dialogo si è interrotto o spezzato. Perché il dialogo è un colloquio interiore che accompagna tutto il processo riflessivo e che diventa apertura al mondo delle relazioni interpersonali, alle ragioni dell’altro, all’ascolto dell’altro. Perché espressione e pensiero sono coessenziali e inseparabili.

Perché dialogare?

Perché la verità e il valore del dialogo non sono mai limitabili in maniera rigida a ciò di cui direttamente si parla, ma in esso è sempre evocato un orizzonte conoscitivo e interpretativo più ampio, entro il quale la singola realtà, il singolo fatto si collocano e diventano più comprensibili. Perché il dialogo non è semplicemente lo strumento con cui indichiamo qualcosa e scambiamo informazioni, ma piuttosto è strutturalmente operazione ermeneutica, in quanto operazione linguistica e come tale operazione dialogica che si dispiega in quello che più ci interessa e cioè nella relazione di conoscenza interpersonale e nell’avvicinamento delle idee. Perché il dialogo è vitalità fra persone che interagiscono in una dinamica di domande e risposte in cui l’apporto di ciascuno è essenziale e produce novità nell’altro. Perché è pratica necessaria e utile alla disamina e comprensione di fatti talora cristallizzati su posizioni interpretative diverse e lontane.

Perché dialogare infine?

Perché non c’è, per seguire la lezione platonica, una via possibile di approccio alla verità o quantomeno alla pace che non sia quella del dialogo. Certo un dialogo inteso come un concreto impegno all’interno di strutture relazionali tese all’avvicinamento e al superamento dell’unilateralità delle opinioni personali. Perché è sicuramente quella la strada maestra da seguire per comprendere le ragioni dell’altro, per mettere alla prova criticamente le nostre convinzioni, per avvicinare le posizioni e giungere all’accordo condiviso.

Non accettare il dialogo e irrigidirsi sulle nostre posizioni ci fa forse sentire al centro del mondo, preparati ed infallibi.

Esiste un vecchio proverbio che recita: “Parlando si capisce la gente”.
E poi un altro: “Si impara a dialogare dialogando”.
Il dialogo apre sempre a nuove possibilità ed è sempre utile anche quando sembra far male.
Il dialogo insegna ad ascoltare gli altri ed a riflettere su quello che ci hanno detto.
Il dialogo aiuta a progredire e avvicina le posizioni.
Il dialogo stimola la riflessione.
Col dialogo si impara a comprendere ancor prima di pretendere di essere compresi.
Col dialogo si impara a vedere dove si è sbagliato.
Col dialogo si impara ad usare prudenza espressiva e a capire quando conviene tacere.
Col dialogo si può arrivare dove con l’imposizione si è fallito.

Socrate (filosofo):
“Accade che, quando ci si trovi in disaccordo su qualche punto e quando l’uno non riconosca che l’altro parli bene, ci si infuria e ciascuno pensa che l’altro parli per invidia nei propri confronti, facendo a gara per avere la meglio e rinunciando alla ricerca sull’argomento proposto nella discussione”.

Paolo Flores d’Arcais (scrittore):
“Dialogare, nel senso forte del termine, non è semplicemente parlare con, è qualcosa di più. È esporre se stessi alla forza ed al rigore del ragionamento”.

Giorgio Nardone (psicologo):
“Nel dialogo l’obiettivo non è vincere facendo perdere l’altro, ma vincere insieme”.

Eshkol Nevo (scrittore):
“Solo pochi sanno ascoltare veramente. Molti preparano già una replica prima che tu abbia finito la frase, mentre è proprio alla fine, al termine della frase, che si dicono le cose veramente importanti”.

Non dovremmo approcciarci al dialogo con l’unico scopo di avere ragione, ma per capire le ragioni dell’altro e aggiornare la nostra visione sull’oggetto di trattazione. Per questo è molto importante imparare ad ascoltare e saperlo fare ci lascerà umanamente più ricchi. Un dialogo dovrebbe pagarci come un bel viaggio quando al ritorno ci sembra di avere nuovi occhi, ovvero una nuova prospettiva da cui osservare le cose del mondo. Il dialogo a cui aspirare deve rappresentare un vero confronto, con evidenza delle uguaglianze e discussione sulle differenze, con lo scopo di smussare gli angoli e convergere su una conclusione accettabile da entrambe le parti, perché dialogare è anche negoziare significati, interessi e condizioni. Approcciarsi al dialogo con umiltà rappresenta un grande valore e testimonia l’interesse che si prova per chi ci sta di fronte e per ciò che esprime: un arrogante non ascolta perché è convinto di avere già la verità in tasca. Nel dialogo teso alla negoziazione c’è un inizio e una conclusione ed è la qualità del percorso svolto che determinerà la qualità più o meno soddisfacente per le parti delle conclusioni a cui si giunge.