La cessione della pazientela di uno studio odontoiatrico e la sua rilevanza reddituale

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rilevanza reddituale

Teoricamente, la rilevanza reddituale della cessione di uno studio odontoiatrico sarebbe dovuta essere nota da tempo al libero professionista, esattamente come sarebbe dovuta esserlo per il sistema patrimoniale piuttosto che per il sistema, da sempre preferito dal professionista, che sino ad allora si era empiricamente basato sul fatturato annuale, così come dettato dagli usi e dalle consuetudini del tempo.

Di fatto non è mai stato così, ed è solo con legge n. 223 del 4 luglio 2006, meglio nota a tutti come la famosa legge Bersani, che vengono apportate una serie di modifiche importanti per le libere professioni, non ultima questa della rilevanza reddituale della cessione di uno studio professionale.

E qui oramai ci si trova semplicemente fermi al capolinea, con un’avvenuta parificazione delle libere professioni con le imprese.

Peccato che i professionisti non sembrano accorgersi immediatamente di questo cambiamento, perché ritengono di aver già subito oltre il dovuto per l’abrogazione delle tariffe fisse, piuttosto che per la liberalizzazione della pubblicità, contenute nello stesso decreto, che doveva solo attuare delle direttive europee tese alla libera concorrenza del mercato ed al principio comunitario di libera concorrenza e di libera circolazione delle persone e dei servizi.

Detta così, questa parificazione del libero professionista con le imprese può sembrare poca cosa, ma di fatto i correttivi apportati all’art. 54 del TUIR prevedono, oltre alla citata rilevanza reddituale, anche la tassazione delle plusvalenze e minusvalenze realizzate attraverso la cessione di beni strumentali, piuttosto che la rilevanza dei risarcimenti, fossero anche questi ultimi, avvenuti sotto forma assicurativa.

Veniamo al pratico e torniamo alla cessione degli studi. Prima di questo 2006 spartiacque, per la cessione di buona parte degli studi si erano forgiate delle fatture con le quali si cedevano semplicemente delle attrezzature, ovviamente esenti dall’Iva e soprattutto non imponibili ai fini dell’Irpef, proprio per via di quel citato articolo 54.

A seguito della suddetta norma, invece, viene introdotto anche per il professionista il principio sino ad allora adottato solo per le imprese prevedendo così (comma 1 quater dell’art. 54) che i corrispettivi percepiti a seguito della cessione di uno studio debbano concorrere a formare il reddito del professionista.

Avvisaglie di questo genere, ovvero che lo Stato volesse tassare il corrispettivo da cessione di studi professionali, se ne erano già avute con delle risoluzioni ministeriali emanate dall’amministrazione finanziaria sin dal 2002, ma poi con la Bersani veniva conclamato il concetto per cui il corrispettivo incassato dovesse essere ricondotto a tassazione separata, assoggettandolo all’Irpef, normando anche il caso di una eventuale transazione con rilevanza pluriennale.

È ora evidente che, con queste modifiche, il professionista non può più cessare la propria attività sino alla definizione dei rapporti pendenti e, in particolare, di quelli aventi come oggetto i crediti strettamente connessi all’attività professionale.

C’è anche un’altra pendenza che oggi viene sottovalutata e che mi preme qui sottolineare: la vendita dell’attrezzatura dello studio, cosa che vede civilisticamente e penalmente responsabili in solido, e per ben dieci anni, il professionista che cede con il collega che acquista i beni dello studio oggetto della cessione.

Al professionista che cede, consiglio di vendere al collega solo quell’attrezzatura che lui può dimostrare di aver regolarmente mantenuto e che è pertanto ancora in regola con la normativa MD 93/42, ma di far rottamare tutto il resto in procedura RAEE (rottamazione apparecchiature elettriche ed elettroniche), per evitare i possibili rischi, civili e penali, dei quali abbiamo appena parlato. ●