Gestione dello stress professionale

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Lo stress professionale resta un problema di complicata gestione.

E’ ormai noto, nel XXI secolo, che lo stress è una condizione che accomuna tutte le persone, prima ancora di poter parlare di lavoratori e professionisti.

Risulta evidente a tutti quanto lo stress gravi considerevolmente sullo stato psico-fisico degli individui, mediante il disagio emozionale, in termini di rabbia, ansia, paura e umore coartato.

Per queste ragioni, in anni recenti, si è sempre più riconosciuta la necessità di interventi efficaci per la riduzione dello stress in modo da migliorare non solo la salute emotiva e, talvolta, la condizione fisiologica sia nel dentista che nei pazienti odontofobici, ma soprattutto per facilitare la prevenzione della malattia in soggetti a rischio.

Con il termine stress generalmente si intende uno stato di squilibrio derivato da una reale o percepita disparità tra le richieste dell’ambiente circostante e la personale capacità di sostenere tali richieste.

Infatti, quando l’individuo è sottoposto ad una sollecitazione eccessiva, per un periodo prolungato, le capacità di adattamento tendono ad essere sopraffatte: si percepisce la sensazione che le proprie energie tendano ad esaurirsi, che le strategie di comportamento risultino inadeguate e, tendenzialmente, si vive una persistente tensione, che non riesce ad essere alleviata da rimedi estemporanei e che, a sua volta, allontana dalla condizione di benessere.

Stress professionale: incapacità a farcela

In questo caso si parla di distress, delineando in tal senso la condizione intrapsichica soggettiva e penosa di una situazione di stress che persiste invariabilmente nel tempo.

Nel mondo anglosassone, per descrivere tale specifica condizione, si è soliti riferirsi alla inability to cope.

Cioè alla incapacità a farcela, proprio per sottolineare questa situazione dell’individuo che, indipendentemente da ogni variabile, come la propria personalità, il supporto sociale, il modo di affrontare le vicissitudini della vita, si sente intrappolato, schiacciato in una morsa dalla quale non riesce a liberarsi.

Quando parliamo di un lavoratore o di una equipe che interagiscono con clienti e pazienti, le difficoltà relazionali si acuiscono ancor di più, a causa dei differenti approcci e modi di (non) risoluzione dei problemi, delle diverse personalità, dei rapporti gerarchici interni all’equipe, e molti altri fattori che intervengono incidentalmente sul benessere sia dei lavoratori che della coppia professionista-paziente.

Lavorare demotivati e abbattuti o in presenza di colleghi e dipendenti che si dimostrano inadeguati, anche solo nell’approccio, a uscire da una condizione di apatia, abulia, astenia, rende i rapporti di lavoro tesi e problematici.

Da dove cominciare per gestire lo stress professionale?

Uno dei primi passi da compiere non è, a dispetto di quello che comunemente si potrebbe pensare, gestire in modo improvvisato lo stress.

E’ doveroso rendersi conto di vivere in un ambiente lavorativo che rende i rapporti ruvidi ed espulsivi con gli altri e con se stessi.

Negare di essere stressati è la via regia per giungere velocemente a quella condizione ormai nota come burn-out, ovvero una vera e propria sindrome da stress lavorativo, caratterizzata da esaurimento emotivo, irrequietezza, apatia, depersonalizzazione e senso di frustrazione, frequente soprattutto nelle professioni ad elevata implicazione relazionale (medici, infermieri, insegnanti, assistenti sociali, ecc.).

Crollo psico-fisico

Quando si rimane per numerose ore al giorno, per tanti giorni, mesi, anni in un contesto che non rende sereni nel lavorare, in cui ci si sente di essere sempre sotto esame e di non poter sbagliare perché altrimenti si viene giudicati; quando si vedono i propri sforzi di collaborazione resi vani da un capo, collega, dipendente che non rispetta le regole (dalla puntualità al modo di relazionarsi, dalla cordialità alla disponibilità verso il prossimo); quando si comincia a percepire la scarsa utilità del proprio apporto professionale e quando ai sacrifici non corrisponde una fase di riposo o di allentamento della tensione, la risposta che solitamente si tende a mettere in atto è proprio quella che appare più lontana dal proprio modo di comportarsi ed interagire.

Si hanno dei crolli a livello fisico, psichico e comportamentale che non possono essere percepiti nell’immediato e conducono quindi ad inasprire i rapporti interpersonali.

Spesso nell’ambiente di lavoro non si creano la confidenza e l’intimità necessari per poter esternare ad un collega il proprio stato di malessere e disagio.

Vuoi perché si teme che non si verrebbe compresi, o che si potrebbe essere etichettati come vittime o persone che tendono alla lamentela, vuoi perché è sempre più facilmente e immediatamente riconoscibile nell’altro il comportamento che si discosta da quella norma socialmente utile e accettabile, il risultato è spesso la messa in atto di dinamiche (sul piano inconscio) di isolamento dall’equipe, di critica indiretta, fatta a terzi, dell’operato di qualcuno, piuttosto che di aperto e duro contrasto.

E, supponendo quindi che un paziente odontofobico, che ha fatto enormi sacrifici per vincere le proprie paure, si trovi sdraiato in un posizione passiva in cui avverte di non essere al centro della cura, ma di essere lasciato in secondo piano poiché la tensione tra i diversi attori incide sulla capacità di discernere quanto stia realmente accadendo?

E supponendo anche che questo ipotetico paziente si trovi a disagio e decida di non tornare più in quel determinato studio, e che questo fatto non possa che aggiungere e moltiplicare ansia, frustrazione, delusione e competitività, quali sarebbero i previsti e probabili risultati? Senza dubbio un incremento sostanzialmente elevato dello stress sia a livello inter-personale che a livello intra-psichico.

Cause dello stress

Ora, i fattori che generano stress sono così specie-specifici all’interno di ogni professione e, laddove si lavori in gruppo, dell’equipe, che valutarli e considerarli uno per uno risulta impossibile; affastellarli in macro categorie apparirebbe altresì non solo teorico ma, soprattutto, confusivo.

E’ un fatto appurato che la soluzione ad una condizione di stress la si può trovare solo calandosi nella realtà di quella singola professione.

Facendo una analisi approfondita delle dinamiche tra i colleghi e tutte le caratteristiche che in maniera più o meno naturale sottopongono a stress.

Già mantenere in partenza un approccio mentale aperto alle differenze di ruolo e di genere, al problem solving che ognuno tende a generare, cercare di avere una elevata tolleranza alla frustrazione, comprendere che l’atto verbale svilente e punitivo nei confronti di chi commette un errore ingenera ulteriore stress, accettare con umiltà di attraversare una fase di stanchezza psico-fisica e chiedere un aiuto anche solo per trovare conforto e non sentirsi più soli, rende gli equilibri più dinamici e stabili.

Quando si comprende che anche l’altro è in difficoltà, che attacca o fugge perché stressato, irritato, amareggiato, e si empatizza con una reazione pressoché analoga a quella di chi lavora quotidianamente a fianco di colleghi e pazienti, il campo è già più sgombro da frizioni e attriti.

I cambiamenti avvengono sempre da un insight, da una presa di coscienza e consapevolezza riguardo al proprio ed altrui modo di funzionare.

Comprendere questo, lavorare su se stessi per non attribuire e proiettare su altri i nostri vissuti di inadeguatezza, invidia, autostima fluttuante, cioè facendosene carico, induce una equanime accettazione, per nulla passiva, ma anzi rispettosa della diversità che ci contraddistingue.

“Risulta evidente a tutti quanto lo stress gravi considerevolmente sullo stato psico-fisico degli individui, mediante il disagio emozionale, in termini di rabbia, ansia, paura e umore coartato”