Indicazioni funzionali ed estetiche ad interventi di chirurgia ortognatica: è sempre possibile una distinzione?

Immagine: U.S. Air Force photo by Senior Airman Erin O’Shea/Released

A partire da marzo 2020 la rubrica di Doctor Os, da me diretta sul tema della odontologia forense, accoglie tre contributi in ambito di chirurgia maxillo-facciale, sia finalizzati a descrivere i rapporti tra l’operatore maxillo-facciale e l’ortodontista, sia finalizzati a verificare gli specifici temi di contenzioso e la loro prevenzione. Ne sono autori due colleghi, Francesco Daleffe e Giorgio Novelli che pur provenendo dall’ambito maxillo-facciale, attività clinica prevalente, si sono perfettamente integrati nell’ambito stomatologico e, nello specifico, nell’area della prevenzione/gestione del contenzioso. Questo aspetto ha due significati fondamentali:

  • L’integrazione dei ruoli dei diversi protagonisti della vita professionale in ambito odontoiatrico che può solo favorire maggiore scambio di informazione e chiarezza valutativa.
  • Migliore risposta alle esigenze funzionali ed estetiche di un paziente che difficilmente può comprendere, e con pieno diritto, ruoli diversi se non inquadrati in una attività multidisciplinare.

Dal punto di vista di chi scrive, è auspicabile nel tempo la creazione, oltre alle equipe chirurgiche, di equipe multidisciplinari per la gestioni dei casi di (presunta) violazione di corretta condotta professionale, in linea con le leggi vigenti (in primis legge n.24 del 2017); il dialogo tra i diversi operatori e la conoscenza approfondita delle tecniche non possono che determinare una comune e globale crescita culturale cui la professione deve costantemente ispirarsi.

Il trattamento ortodontico-chirurgico delle dismorfie dento-scheletriche presenta, oltre ad una complessità ed una durata intrinseche, peculiari risvolti dalle caratteristiche sia funzionali sia estetiche. In funzione di queste si è negli anni assistito a diverse rivoluzioni nel paradigma di trattamento: se agli albori del secolo scorso l’aspetto dentale era scarsamente considerato, nel secondo dopoguerra la variabile “occlusocentrica” è assurta a principale determinante nel piano di trattamento. Per poi, a cavallo del nuovo millennio, essere subordinata ad una visione d’insieme delle caratteristiche morfo-estetiche dell’intero volto.

Obiettivi passati ed attuali del trattamento ortognatodontico

Questa differente concezione alla base dei piani di trattamento ha di volta in volta stabilito differenti target terapeutici: l’interpretazione del secolo scorso prevedeva una peculiare e prioritaria attenzione al ripristino di rapporti dentoscheletrici di I classe. A questo obiettivo era pertanto subordinato l’intero trattamento. Ma, come già affermava Blair agli albori della specialità, “ripristinare solamente un’occlusione ideale raramente porta ad un risultato estetico pienamente soddisfacente”.

A cavallo del nuovo millennio, a fronte delle mutate richieste e aspettative, si assistette perciò ad un cambiamento sostanziale che interessava le radici stesse della specialità: l’impostazione “occlusocentrica” lasciava infatti spazio ad una maggiore attenzione all’estetica del volto, determinando come nuovo target un’adeguata armonia dento-facciale. Tale mutamento rivoluzionava l’intero iter di cure: una peculiare attenzione ai tessuti molli determinava lo sviluppo di nuove analisi cefalometriche e di nuovi piani di trattamento oltre all’integrazione di trattamenti chirurgici ancillari.

Tale impostazione si è giustamente mantenuta, come previsto da Profitt (“Le indicazioni al trattamento nel 21° secolo saranno sempre più basate sulla componente facciale delle deformità dento-scheletriche” con il supporto nell’ultimo lustro di tecniche virtuali di progettazione e CAD-CAM di realizzazione. A ciò è andata sommandosi ancor più considerazione riguardo le patologie delle articolazioni temporo-mandibolari e dei vari distretti intraorali. Si può quindi pacificamente affermare che al giorno d’oggi gli obiettivi finali di un trattamento di una dismorfosi dentofacciale sono:

una buona armonia del volto e del sorriso, in accordo con i comuni parametri estetici della popolazione di riferimento ed allineata alle richieste del paziente;

  • una buona vitalità parodontale esente da sovraccarichi funzionali a fine trattamento;
  • una mantenuta funzione articolare;
  • una occlusione funzionale, non necessariamente in I classe, ma con contatti stabili, uniformemente diffusi ed esente da interferenze.

In aggiunta a questi parametri sostanzialmente oggettivabili, risulta di primaria importanza identificare i bisogni e le aspettative del paziente, definendo quali siano i target terapeutici, soprattutto morfo-estetici, già dall’inizio del piano di cura ed informando in maniera adeguata l’assistito.

Possibilità di misurare gli outcome: quantificare e confrontare il risultato

Il raggiungimento degli obiettivi occluso-dentali, estetici e funzionali elencati in precedenza richiede un precisa e attenta pianificazione; questi determinanti sono infatti strettamente correlati tra di loro e vanno soppesati e bilanciati anche in funzione delle realistiche richieste del paziente.

Caratteristica determinante e punto di partenza fondamentale, come in ogni piano di cura, è una corretta diagnosi; questa è indissolubilmente legata ad un adeguato e documentato esame obiettivo specialistico, ove venga “oggettivata” il più possibile, mediante schemi di misurazione e materiale fotografico, la dismorfosi facciale. L’atto di quantificare le caratteristiche morfologiche, per quanto riconduca intrinsecamente ad uno schema deterministico una continuità di valori strettamente interdipendenti e perciò risulti sempre parziale ed incapace di descrivere completamente lo stato clinico, è fondamentale ai fini dell’iter terapeutico. Grazie ad esso, e di concerto con analisi cefalometriche dedicate, si identificano le indicazioni al trattamento e se ne pianificano le fasi; inoltre esso è fondamentale nel confronto con quanto programmato e con il risultato ottenuto.

Dal momento che tale trattamento è complesso, di lunga durata, costoso sia dal punto di vista biologico sia da quello economico, oltre che non scevro da complicanze, è indispensabile identificare ab initio quelle che sono le indicazioni al trattamento stesso, al fine di non incorrere nel rischio di inutili e pericolosi overtreatment che esulano dalle “normali” e accreditate modalità di trattamento. Ciò potrebbe inevitabilmente esporre i pazienti a possibili complicanze o conseguenze senza ottenere un reale beneficio.

Le indicazioni chirurgiche per questo tipo di trattamenti possono quindi essere raggruppate in due categorie principali: le indicazioni funzionali e le indicazioni estetiche.

Parametri funzionali, complicanze intrinseche o errori di progettazione?

Le indicazioni funzionali al trattamento ortognatico possono considerare un ampio numero di parametri, la maggior parte dei quali è quantificabile solo con difficoltà: ciò è soprattutto dovuto alla spiccata multifattorialità, all’ampia variabilità interindividuale ed alla continuità delle variabili. Ad ogni modo vengono successivamente elencati i principali parametri di valutazione funzionale.

Differenti studi sperimentali hanno dimostrato una diminuzione della performance masticatoria, intesa come capacità di triturazione di un materiale standardizzato e correlata tra le altre alla forza del morso, al flusso salivare, alla tipologia ed all’uniformità dei contatti occlusali, in pazienti che presentano malformazioni dento-scheletriche. Tali considerazioni acquistano un particolare rilievo in presenza di morsi aperti di origine scheletrica, siano essi anteriori o posteriori, ascrivibili a discrepanze mascellari o mandibolari; ciò è imputabile alla profonda modificazione di cui tale alterazione è responsabile sui contatti occlusali, e della misura in cui ciò, attraverso dinamiche biomeccaniche e neuromuscolari ancora non del tutto determinate, diminuisce la forza masticatoria. Cionondimeno, l’attivazione della muscolatura masticatoria è influenzata anche dalla funzione articolare.

L’associazione tra disturbi articolari temporo-mandibolari e chirurgia ortognatica, ovvero l’effetto della stessa nei confronti dei primi, risulta ancora oggi un argomento di discussione abbastanza “spigoloso”. Una approfondita revisione ad opera di Ellis, Wolford, Laskin, Perez ed Al-Moraissi, comprendente 1135 studi pubblicati dal 1980 al 2016, cerca di rispondere ai seguenti quesiti:

  • la correzione della dismorfosi migliora la patologia articolare?
  • è foriero di rischi sottoporre a trattamento ortognatico pazienti con disordini temporo-mandibolari?

I risultati addotti dagli autori di questa review sottolineano come disturbi temporo-mandibolari potrebbero migliorare dopo il trattamento chirurgico in caso di dismorfosi scheletrica di II e III classe. Ad ogni modo “non tutte le procedure si traducono in un miglioramento di tali problematiche”; ciò potrebbe essere secondario, sempre secondo gli autori, a minori interferenze occlusali, miglior bilanciamento occlusale, minor discrepanza tra relazione ed occlusione centrica. La conclusione addotta e condivisa da ulteriori articoli si concretizza nella non predicibilità delle conseguenze articolari della terapia ortognatica e nella difficoltà nell’individuare i determinanti di tale relazione.

Di conseguenza, alla luce delle attuali (non) evidenze scientifiche, un approccio ancor più prudente e attento diviene doveroso, anche e soprattutto in considerazione delle irreversibili modificazioni morfologiche effetto del trattamento.

Al contrario, la letteratura degli ultimi 20 anni appare assolutamente concorde nel cassare qualsiasi correlazione addotta tra gli esiti di un trattamento ortognatico e un miglioramento della funzione masticatoria e/o deglutitoria.

Particolari considerazioni devono essere effettuate per quanto riguarda tutti quei pazienti con disgnazie di grado intermedio: ovvero situazioni cliniche la cui risoluzione terapeutica può essere ottenuta tramite un percorso terapeutico chirurgico ortognatico o attraverso una comunque valida soluzione di compromesso. In questo novero si possono elencare marcati affollamenti dentari, contrazioni della dimensione trasversale delle, evidenti malposizioni, rilevanti pro-inclinazioni o retro-inclinazioni e inclusioni dentarie; tutte queste condizioni possono poi essere rapportate ad un difetto di posizione o conformazione delle basi scheletriche. L’obiettivo terapeutico, caratterizzato da un impegno clinico e da un costo biologico generalmente assai più limitati, deve però essere ben determinato ab initio; l’ottenimento di un risultato solo parziale o addirittura peggiorativo può infatti condizionare poi un percorso chirurgico risolutivo.

Indicazioni peculiari sussistono poi in determinate situazioni patologiche, ove l’indicazione al trattamento risulta essere preminentemente chirurgica: nello specifico, in caso di sindrome delle apnee ostruttive del sonno non rispondenti a terapie meno invasive ed in caso di crescita condilare continuativa oltre il termine dello sviluppo (determinando quindi una ipertrofia dell’emimandibola del lato affetto). La motivazione al trattamento chirurgico di queste patologie sarà infatti la drastica diminuzione se non la risoluzione del quadro clinico.

Nel primo caso l’obiettivo terapeutico principale consiste in una distrazione dei tessuti molli orofaringei, un aumento del volume delle prime vie aeree ed in una conseguente riduzione delle apnee periferiche: questo target si ottiene generalmente riposizionando en bloc entrambi i mascellari, senza modifiche dento-occlusali se non indicate per un contestuale trattamento ortognatodontico.

Nel secondo, il trattamento di scelta consiste in una condilectomia alta, con resezione del centro di crescita iperattivo; la malocclusione dalla patologia primitiva, generalmente modificata ma non risolta dal trattamento chirurgico causale, sarà da affrontare contestualmente o in un secondo tempo con una terapia ortodontico-chirurgica.

La quantificazione e correzione di queste variabili costituiscono quindi il pilastro fondante di un’adeguata diagnosi, di un piano di cura integrato e l’end-point terapeutico di ogni trattamento ortodontico-chirurgico. Conseguentemente qualsiasi approccio terapeutico fondato su una diagnosi non corretta o, peggio, superficiale e che non tenga in adeguata considerazione questi parametri, potrà essere definito deficitario nella sostanza e fonte di possibile, se non probabile, errore di progettazione.

Contestualmente, data la complessità multidisciplinare e l’estensione temporale dei trattamenti in oggetto, caratterizzati da manovre chirurgiche la cui predicibilità è fortemente influenzata dall’ampia variabilità anatomica, l’instaurarsi di complicanze postoperatorie, spesso nervose, osteo-articoalri o vascolari, costituisce un’eventualità concreta ed intrinseca al trattamento, questo pur effettuato lege artis.

Parametri estetici: identificati e condivisi con il paziente, ma di difficile quantificazione

Se la precisa individuazione e quantificazione dei numerosi parametri funzionali risulta complicata, la meticolosa determinazione di criteri diagnostici estetici è almeno altrettanto impegnativa. Quanto può risultare immediato ad una preliminare valutazione può infatti venire radicalmente rivalutato con un esame più attento.

L’armonizzazione delle unità estetiche del volto e, in modo più allargato, l’ottenimento dell’armonia dentofacciale avviene attraverso la correzione  delle basi ossee e dei tessuti molli. Se per le prime da vari decenni sono codificate numerose metodiche di analisi e programmazione chirurgica, i movimenti dei secondi sono diventati di primaria importanza solo con l’avvento del nuovo secolo. Nonostante le nuove metodiche cefalometriche dedicate e il valido aiuto fornito dalle simulazioni virtuali, il risultato estetico dipende ancora ampiamente dall’abilità chirurgica, sia nella programmazione sia nella realizzazione terapeutica.

Le indicazioni estetiche possono essere suddivise nei due “capitoli” di seguito riportati.

Quelle correlabili al dismorfismo dento-cheletrico dove, come già descritto, la componente estetica trova una stretta correlazione con l’anomala posizione delle basi scheletriche e delle arcate dentali. In questo caso le conseguenti modifiche del volto, intese come armonizzazione dei parametri morfologici, non possono prescindere dalle componenti dentali e funzionali, anche articolari. Ciò significa che il cambiamento occlusale determina intrinsecamente un più o meno marcato mutamento estetico, che, ricordiamo, deve essere desiderato e condiviso con il paziente; d’altro canto la modifica delle proporzioni del volto è spesso la richiesta primaria dell’assistito, in particolare nei casi di discrepanze maggiori.  Dunque tale richiesta deve essere sempre ponderata e condivisa nelle sue indicazioni tenendo sempre in considerazione i risvolti funzionali: in alcuni casi una valutazione del profilo psicologico ed un eventuale supporto possono essere utili nel  rafforzare l’indicazione o, altrimenti, a controindicare l’intervento stesso (per diagnosi di dismorfofobia, schizofrenia…).

Contrariamente, esistono indicazioni puramente estetiche in assenza di una malocclusione, o con un’alterazione limitata il cui trattamento esclusivo potrebbe essere ortodontico. L’obiettivo della cura è stato in passato individuato in differenti canoni estetici, abbastanza rigidi, che si sono dimostrati non sempre adeguati: attualmente il fine si identifica in un ottimo bilanciamento delle proporzioni del viso che, pur non corrispondendo a rapporti ideali, si possono dimostrare assolutamente armoniche e piacevoli. In tali casi l’individualizzazione del trattamento sarà massima e guidata principalmente dal paziente; il grado di correzione scheletrica sarà in questi casi limitato solo dalla capacità dei tessuti molli di ben adattarsi al nuovo sostegno sottostante. In queste eventualità, l’utilizzo di tecniche osteotomiche applicate ai soli fini estetici deve essere attentamente valutata, analizzando in aggiunta anche i risvolti funzionali, che potrebbero essere peggiorativi.

Alla luce di queste considerazioni si deduce la centralità della condivisione con il paziente delle modifiche estetiche, pur in maniera qualitativa se non quantitativa. Analogamente dovrebbero essere precedentemente identificati ed ampiamente discussi gli end-point terapeutici e le conseguenze degli stessi, soprattutto sul piano funzionale. Infine, un’accurata analisi psicologica potrà solo facilitare la gestione pre, intra e post trattamento dell’assistito.

È quindi possibile una distinzione tra risultati estetici e funzionali?

Il trattamento dei differenti quadri clinici esposti è sempre individualizzato e differente per ogni paziente: un punto fondante è costituito però dal programma iniziale di trattamento. Caratterizzato dalla stretta collaborazione e condivisione degli obiettivi, prevede una chiara unità d’intenti tra chirurgo maxillo-facciale e ortodontista. In funzione della complessità realizzativa, il programma iniziale e le sue eventuali modifiche in corso d’opera è il focus su cui valutare la progettazione del piano di cura; dal raffronto del risultato ottenuto con esso si determina poi la metodica di realizzazione, a volte caratterizzata da un’alta difficoltà tecnica.

Immagine: U.S. Air Force photo by Senior Airman Erin O’Shea/Released

Nella valutazione dei possibili iter chirurgici è importante formulare una precisa diagnosi già ab initio, onde evitare trattamenti ortodontici afinalistici, a maggior ragione se in pazienti pediatrici affetti da gravi anomalie dento-scheletriche. Questi trattamenti, spesso protratti per lungo tempo e durante tutta la fase adolescenziale, sono infatti associati ad un rischio aumentato di rizolisi e di malattia parodontale. Tali considerazioni riguardano particolarmente quei pazienti con situazioni dento-scheletriche non correggibili efficacemente con il solo camouflage ortodontico, o che quantomeno dovrebbero essere informati sulle varie opzioni terapeutiche e quindi anche chirurgiche. Infatti indicazioni funzionali, occlusali ed estetiche dovrebbero sempre essere valutate, affrontando contestualmente le varie problematiche per formulare il trattamento ideale.

Le considerazioni finora eseguite comportano poi, anche in termini di responsabilità condivisa, risvolti medico legali da tenere in considerazione. Il raggiungimento dei target funzionali, per quanto sempre soggetto alla variabilità interindividuale, vero elemento di incertezza in protocolli terapeutici ormai ben definiti, rappresenta il “momento curativo” della terapia delle dismorfosi dento-scheletriche. I risvolti morfo-estetici, per quanto clinicamente determinanti nella pianificazione del percorso di cura, costituiscono soltanto un aspetto secondario e subordinato agli obiettivi terapeutici organici. Essi, ovvero le determinanti funzionali ed estetiche, appaiono però nella sostanza sempre intrinsecamente connesse ed con metodiche di risoluzione assai spesso convergenti.

Queste considerazioni suggeriscono quindi i seguenti risvolti medico-legali: in caso di terapia di alterazioni organiche manca spesso realisticamente l’alternativa tra il fare e il non fare. Se al contrario è richiesto un trattamento con finalità estetiche, l’interessato è tenuto a valutare i rischi che riguardano un bene, la salute, considerato di rango più alto rispetto all’obiettivo perseguito. Alla luce di ciò, anche l’atto del consenso informato potrebbe, almeno in teoria, acquisire un’ulteriore connotazione essenziale, aggiungendo all’aspetto fondamentale  di autodeterminazione caratteristiche di giustificazione della violazione del corpo. Ciò sempre in dipendenza del valore attribuito dal paziente, e solo da esso, all’aspetto morfo-estetico del volto ed all’influenza dello stesso nella sfera sociale. 

Bibliografia

1.

Operations on the jaw-bone and face. Blair VP Surg Gynecol 67Y78 Obstet 1907;4:

2.

Soft tissue cephalometric analysis: Diagnosis and treatment planning of dentofacial deformity. Arnett GW, Jelic JS, Kim J, Cummings DR, Beress A, Worley CM. Am J Orthod Dentofacial Orthop. 1999;116:239–53

3.

The soft tissue paradigm in orthodontic diagnosis and treatment planning: a new view for a new century. Proffit WR. J Esthet:46Y49 Dent 2000;12

4.

Does malocclusion affect masticatory performance? English, J.D., Buschang, P.H. and Throckmorton, G.S. (2002)  The Angle Orthodontist, 72, 21–27.

5.

Changes in masticatory function after orthognathic treatment in patients with mandibular prognathism. Kobayashi, T., Honma, K., Shingaki, S. and Nakajima, T. (2001)  The British Journal of Oral & Maxillofacial Surgery, 39, 260–265 – Association between masticatory performance and maximal occlusal force in young men. Okiyama, S., Ikebe, K. and Nokubi, T. (2003) Journal of Oral Rehabilitation, 30, 278–282.

6.

Occlusal forces in normal-and long-face adults. Proffit, W.R., Fields, H.W. and Nixon W.L. (1983)  Journal of Dental Research 62, 566–570.

7.

Masticatory function in patients with dentofacial deformities before and after orthognatic treatment – a prospective, longitudinal an controlled study. Abrahmsson C, Henrikson T, Bondemark L, Ekberg EC. Eur J Orthod. 2015 Feb;37(1):67-72.

8.

Does Orthognathic Surgery Cause or Cure Temporomandibular Disorders? A Systematic Review and Meta-Analysis. Al-Moraissi EA, Wolford LM, Perez D, Laskin DM, Ellis E 3rd. J Oral Maxillofac Surg. 2017 Sep;75(9):1835-1847

9.

Masticatory function and temporomandibular disorders in patients with dentofacial deformities. Abrahamsson C. Swed Dent J Suppl. 2013;(231):9-85

10.

Do patients with malocclusion have a higher prevalence of temporomandibular disorders than controls both before and after orthognathic surgery? A systematic review and meta-analysis. Al-Moraissi EA, Perez D, Ellis E 3rd. J Craniomaxillofac Surg. 2017 Oct;45(10):1716-1723

11.

Orthodontic camouflage versus orthodontic-orthognathic surgical treatment in class II malocclusion: a systematic review and meta-analysis. Raposo R, Peleteiro R, Paço M, Pinho T. Int J Oral Maxillofac Surg. 2018 Apr;47(4):445-455.

12.

Orthodontic camouflage. Kessel SP. Am J Orthod Dentofacial Orthop. 2003 Jul;124(1):17A-18A; author reply 18A.

13.

PDT Regione Emilia Romagna: SINDROME DELLE APNEE OSTRUTTIVE NEL SONNO DELL’ADULTO. Associazione Italiana Medicina del Sonno, Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri, Associazione Otorinolaringologi Ospedalieri Italiani

14.

Hemimandibular hyperplasia–hemimandibular elongation. Obwegeser HL, Makek MS.J Maxillofac Surg. 1986 Aug;14(4):183-208.

15.

Maxillomandibular Advancement for Treatment of Obstructive Sleep Apnea: A Meta-analysis. Zaghi S, Holty JE, Certal V, Abdullatif J, Guilleminault C, Powell NB, Riley RW, Camacho M. JAMA Otolaryngol Head Neck Surg. 2016 Jan;142(1):58-66.

16.

Long-term surgical-orthodontic management of hemimandibular hyperplasia.Bennett SC, Goonewardene MS.Aust Orthod J. 2016 May;32(1):97-108.

17.

Complications associated with orthognathic surgery. Kim YK. J Korean Assoc Oral Maxillofac Surg. 2017 Feb;43(1):3-15.

18.

Soft tissue cephalometric analysis: diagnosis and treatment planning of dentofacial deformity. Arnett GW, Jelic JS, Kim J, Cummings DR, Beress A, Worley CM Jr, Chung B, Bergman R. Am J Orthod Dentofacial Orthop. 1999 Sep;116(3):239-53.

19.

3-dimensional facial simulation in orthognathic surgery: is it accurate? Schendel SA, Jacobson R, Khalessi S. J Oral Maxillofac Surg. 2013 Aug;71(8):1406-14

20.

Effects of orthognathic surgery on psychological status of patients with jaw deformities.Takatsuji H, Kobayashi T, Kojima T, Hasebe D, Izumi N, Saito I, Saito C.Int J Oral Maxillofac Surg. 2015 Sep;44(9):1125-30.