Il rialzo del pavimento sinusale per via crestale: evoluzione della tecnica della pressione idraulica

Scopo del lavoro: Il presente studio descrive un protocollo chirurgico originale per il rialzo del seno mascellare per via crestale.
Materiale e metodi: Il protocollo prevede l’uso della pressione idraulica per lo scollamento della schneideriana ed il contemporaneo riempimento dello spazio subantrale con un biomateriale per la rigenerazione ossea (idrossiapatite nanocristallina in soluzione acquosa).
Risultati: La tecnica in oggetto unisce i vantaggi dell’innesto di grandi quantità di biomateriale con la ridotta traumaticità, l’alta predicibilità e precisione.

INTRODUZIONE

L’inserimento di impianti osteointegrati per la riabilitazione implantoprotesica dei settori distali del mascellare superiore presenta numerose controindicazioni tra cui, la più frequente, riguarda l’insufficiente dimensione dell’osso alveolare nelle tre dimensioni dello spazio (1). A questo proposito numerosi studiosi hanno analizzato, classificato ed elaborato dei protocolli terapeutici atti a determinare i limiti entro cui è possibile operare. L’evoluzione nel tempo di tali protocolli ha aumentato la predicibilità degli interventi soprattutto nel caso di un ridotto spessore della cresta ossea residua. Pertanto ad oggi si può affermare che:

  • una cresta superiore a 6 mm può essere sufficiente per il diretto inserimento degli impianti senza procedure di rialzo (2, 3);
  • una cresta tra i 4 e i 6 mm permette di inserire impianti contestualmente a tecniche di aumento di volume osseo (3, 4, 5);
  • una cresta inferiore ai 4 mm richiede la pianificazione di una chirurgia in due tempi.

Una delle prime proposte di augment sinusale, per l’inserimento di impianti, è stata quella elaborata da Tatum nel 1977. Questa prevedeva un accesso laterale al seno per ricavare una sufficiente volumetria subsinusale, creando uno spazio preternaturale tra la mucosa schneideriana e il pavimento osseo sinusale. La membrana sinusale veniva separata dall’osso per scollamento chirurgico in modo da creare uno spazio che veniva poi riempito da un biomateriale per rigenerazione ossea, nella fattispecie osso autologo. La tecnica di Tatum, meglio conosciuta come Grande Rialzo di Seno Mascellare, è oggi una delle più usate per gli elevati indici di successo (6, 7) e ha il vantaggio di permettere l’inserimento di grandi quantità di innesto e di offrire una ottima visibilità operatoria. I principali svantaggi sono costituiti dalla invasività dell’intervento, con esiti postoperatori rilevanti, dal rischio di perforazione della membrana e di invasione epiteliale dell’innesto attraverso la finestra laterale (8, 9, 10, 11).

Il principale motivo di insuccesso di questi interventi è legato alla lacerazione della membrana che, non potendo svolgere la funzione contenitiva dell’innesto, ne provoca la dispersione nel lume sinusale con conseguente mancata formazione ossea. La membrana può lacerarsi non solo nella fase di accesso al seno ma anche e soprattutto in quella dello scollamento, sollevamento e inserimento del biomateriale. Durante questi passaggi la membrana subisce delle forze di stiramento meccanico che, se eccessive, la possono lacerare (12, 13). Un altro pericolo per l’integrità della membrana è costituito dal tipo di biomateriale usato per l’innesto. Moltissimi sono, infatti, i materiali proposti per il riempimento della cavità sinusale, ma alcuni presentano granuli provvisti di punte che possono tagliare la membrana schneideriana soprattutto se l’inserimento avviene troppo bruscamente (2, 14, 15). Nel caso si rendesse necessario ottenere un incremento dei volumi ossei minore, è indicato l’accesso per via crestale, più comunemente denominato Mini Rialzo di Seno Mascellare. Numerose metodiche, che fanno uso di questa via di accesso, sono state proposte negli anni. Tra le più conosciute ricordiamo quelle di Summers del 1994 e 1995 e di Favero-Brånemark del 1998 (16). Le prime prevedevano l’utilizzo di un set di osteotomi tronco-conici di diametro crescente da usare in progressione. Ancora oggi le tecniche di Summers sono tra le più diffuse ed utilizzate (2, 17, 18), sono state inoltre riprese e modificate da vari autori tra cui Fugazzotto nel 1999 e 2002 con l’introduzione dell’uso di una fresa cava da osso (trephine) (19, 20, 21, 22, 23). La generale tendenza medica e odontoiatrica a individuare procedure sempre meno invasive per il paziente ha spinto i ricercatori allo sviluppo di tecniche ad approccio crestale meno traumatiche e con minori complicanze postoperatorie, come il Rialzo Transalveolare con o senza materiali da innesto e contemporanea espansione della cresta, come quello proposto da Winter (12), che possono dare risultati simili a quelli ottenibili con l’accesso per finestra vestibolare ove l’anatomia del sito consenta l’uso di questa tecnica. Una tecnica ideale dovrebbe permettere almeno tre risultati contemporaneamente:

  • scollamento ed elevazione atraumatica e calibrata della membrana di Schneider;
  • inserimento di materiale osteogenico riassorbibile;
  • distribuzione del suddetto biomateriale a forma di “cupola perimplantare”.

Nella nostra pratica clinica abbiamo inizialmente adottato una delle prime metodiche di rialzo crestale che fa uso della pressione idraulica, proposta da Sotirakis e Gonshor nel 2005. Questo ci ha permesso di comprendere i limiti e i difetti di tale metodica, che si propone di ottenere lo scollamento e sollevamento della membrana sinusale, mediante iniezione di soluzione fisiologica, attraverso una siringa in plastica monouso (24). La dimensione della cresta ossea residua nei siti chirurgici, misurata mediante radiografie endorali, era compresa in un range tra i 4 e i 6 mm di altezza, ritenuta la minima che potesse garantire una sufficiente stabilità primaria della futura fixture implantare.

Con tale metodica abbiamo incontrato le seguenti problematiche:

  • difficoltà nel sigillare l’estremità distale della siringa di soluzione fisiologica nel sito osteotomico appena preparato, cosa che ha comportato un incostante fenomeno di reflusso che ha reso imprecisa la spinta di erogazione del liquido iniettato a pressione;
  • al termine dell’operazione di scollamento/espansione è sempre risultato difficile e incompleto effettuare l’operazione di svuotamento della soluzione fisiologica dallo spazio subsinusale per far posto al biomateriale;
  • una volta ottenuto il drenaggio del liquido dallo spazio subantrale il suo riempimento, mediante un materiale granulare, attraverso il futuro tunnel implantare, si è dimostrato essere una procedura lunga ed indaginosa;
  • il controllo della progressione del pistone della siringa è risultato eccessivamente legato alla sensibilità tattile dell’operatore ed alla disomogenea resistenza allo scollamento offerta dalla mucosa sinusale.

Per cercare di risolvere le problematiche incontrate con la suddetta metodica, Andreasi Bassi e Lopez hanno elaborato, nel 2008, una variante denominata Hydraulic Sinus Lift (HySiLift) (25). Questa metodica fa uso di uno strumentario specifico, appositamente realizzato allo scopo, con il quale è possibile iniettare il materiale da innesto, di consistenza pastosa, nello spazio subantrale. Il vantaggio risiede nel fatto che in un unico tempo viene effettuato lo scollamento e l’elevazione della membrana sinusale ed il riempimento dello spazio sotto schneideriano. In questo articolo verranno presentati i risultati clinici di questa tecnica di rialzo con accesso crestale che massimizza gli effetti positivi della pressione idraulica.

MATERIALI E METODI

fig.1 Kit HySiLift.
fig.1 Kit HySiLift.
fig. 2 Hydro-Mab
fig. 2 Hydro-Mab

L’esecuzione del HySiLift prevede la disponibilità di un kit strumentale (fig. 1) specifico costituito da tre componenti: un infusore a controllo manuale in titanio (Hydro-Mab, FMD; fig. 2) dotato di un pistone con vite micrometrica su cui è possibile montare diverse siringhe monouso da 1, 2 e 5 ml, possibilmente dotate di attacco Luer-Lock; un dispenser “ML Injector” (fig. 3) in acciaio chirurgico filettato (ML Injector, FMD);

fig. 3 Dispenser Ml riempito con biomateriale
fig. 3 Dispenser Ml riempito con biomateriale

una cannula in acciaio chirurgico, anch’essa dotata di attacco Luer-Lock complementare a quello della siringa monouso (fig. 4) che serve a collegare la siringa al dispenser. L’ML Injector è lungo 14 mm ed è disponibile in due forme, conica e cilindrica: le cilindriche sono disponibili in due diametri da 3,2 mm e 4,0 mm; le coniche in due diametri da 2,8/4,0 mm e 3,5/4,6 mm. Il dispenser è composto da tre parti aventi distinte funzioni:

  • la zona apicale è liscia e di forma semisferica e serve a sollevare la membrana; subito al di sotto vi sono le aperture che servono a iniettare e distribuire il biomateriale di riempimento nello spazio subantrale secondo la direzione ideale che è quella laterale e radiale;
  • la parte centrale è filettata e serve a solidarizzare lo strumento nell’alveolo implantare in modo che non rimangano spazi tra esso e la parete ossea da cui, in caso di forte pressione, potrebbe refluire del biomateriale;
  • infine, la componente crestale serve da connessione con la cannula, quest’ultima è dotata di due Oring in silicone, nella sua estremità distale, per garantire la tenuta (fig. 4).
fig. 4 Hydro-Mab con siringa collegata all’ML mediante cannula, cerchiata in verde.
fig. 4 Hydro-Mab con siringa collegata all’ML mediante cannula,
cerchiata in verde.

La sezione totale delle finestre poste all’apice dell’ML Injector è superiore a quella di ingresso corrispondente all’attacco dell’ago in modo da avere, secondo il teorema di Bernoulli, una minor velocità di uscita del materiale. Il dispenser può essere utilizzato solo per creste che abbiano una dimensione verticale superiore a 3 mm, altrimenti non si avrebbe una sufficiente stabilità durante le manovre di iniezione. Solo in caso di osso molto compatto (D1 - D2), eventualità rarissima date le zone interessate dall’intervento, si può ipotizzare un uso esteso allo spessore di 2 mm (fig. 5).

fig. 5 Disegno grafico della sistematica HySiLift.
fig. 5 Disegno grafico della sistematica HySiLift.

Per la selezione dei pazienti ammessi allo studio sono stati applicati gli stessi criteri di esclusione raccomandati da Buser (26). Oltre a questi sono stati esclusi i casi che mostravano segni di patologia sinusale o che all’anamnesi riportavano storie di familiarità per malattie sistemiche coinvolgenti i seni paranasali. Lo studio ha coinvolto 40 pazienti, 14 maschi e 26 femmine, in un range d’età tra 25 e 67 anni con una media di 49,47±10,1. I siti impiantati con la metodica HySiLift sono stati 42. Di questi 32 erano primi molari, 2 secondi molari, 6 primi premolari e 2 secondi premolari. Sono state inserite 35 fixture contestualmente al rialzo (approccio onestage), mentre 7 fixture sono state posizionate dopo 6 mesi dal rialzo (tecnica two-stage). 24 impianti erano di forma cilindrica e 18 conica, 35 erano transmucotici e 7 bone level.
34 siti sono stati approcciati con un lembo e 8 con tecnica flapless. I diafig. 1 Kit HySiLift. fig. 3 Dispenser Ml riempito con biomateriale. fig. 2 Hydro-Mab. fig. 4 Hydro-Mab con siringa collegata all’ML mediante cannula, cerchiata in verde. metri delle fixture variavano da 3,4 a 4,8 mm (valore medio 4,4±0,39). L’altezza della cresta residua variava da un minimo di 3 mm ad un massimo di 6 mm (valore medio 5,5±1,46). La dimensione orizzontale crestale (larghezza crestale) iniziale variava da 4 a 10 mm (valore medio 7,35±1,35). Lo spazio mesiodistale disponibile variava da 6 a 12 mm (valore medio 8,95±1,48). La quantità di materiale inserito variava da un minimo di 0,5 ml ad un massimo di 1,2 ml (valore medio 0,75±0,23 ml). Le elevazioni della membrana di Schneider, misurate con centratori di Rinn su pellicola radiografica, andavano da un minimo di 2 ad un massimo di 8 mm (valore medio 5,19±1,57). Tutti i casi sono stati finalizzati con corone in lega preziosa-ceramica a 4 mesi dal posizionamento implantare. È stato effettuato un controllo radiografico degli impianti immediatamente prima della finalizzazione protesica e al momento della finalizzazione stessa. Successivamente è stato eseguito un controllo clinico a 3 mesi dal carico protesico ed un controllo clinico e radiografico ad un anno dalla finalizzazione protesica.

Caso clinico

Allo scopo di mostrare la sistematica è stato selezionato il seguente caso clinico: paziente maschio di 54 anni che aveva subito l’avulsione di 16 in seguito a un processo carioso destruente. La valutazione radiografica endorale del sito eseguita 10 settimane dopo l’estrazione mostrava una cresta residua di 3 mm distalmente e 5 mm mesialmente (fig. 6).

fig. 6 Radiografia preoperatoria che mostra la cresta residua di 3 mm distalmente e 5 mm mesialmente.
fig. 6 Radiografia preoperatoria che mostra la cresta
residua di 3 mm distalmente e 5 mm mesialmente.

Il seno mascellare risultava ben pneumatizzato e non erano evidenziabili segni di patologie. Dopo una valutazione clinica ed una ceratura diagnostica si è proceduto all’intervento di rialzo crestale con tecnica HySiLift con contestuale inserimento di un impianto. Dopo incisione di un lembo paracrestale a spessore totale, si è preparato un alveolo implantare mediante fresaggio progressivo fino al diametro di 3,5 mm. Per la preparazione dell’alveolo implantare e il primo distacco della membrana di Schneider dal pavimento osseo del seno è possibile usare qualsiasi metodo preferito dall’operatore: la metodica però privilegia l’utilizzo di frese rotanti a bassa velocità, per la prima parte della preparazione, seguito dall’utilizzo di punte diamantate cilindriche con punta arrotondata, a grana grossa montate, mediante un inserto dedicato (MAB, FMD) su manipolo ad ultrasuoni. Tale metodica, già in precedenza descritta, risulta meno lesiva per la membrana evitando il trauma percussivo associato alle metodiche osteotomiche (figg. 7 e 8).

fig. 7 Manipolo piezoelettrico con punta cilindrica diamantata.
fig. 7 Manipolo piezoelettrico con punta cilindrica diamantata.
fig. 8 Utilizzo del manipolo piezoelettrico per perforare l’osso del pavimento del seno.
fig. 8 Utilizzo del manipolo piezoelettrico
per perforare l’osso del pavimento del seno.

Il tunnel implantare viene sottopreparato di 0,5 mm nel caso si utilizzi un ML Injector cilindrico, mentre se questo è conico il diametro del tunnel deve essere uguale al diametro minore dello strumento. Quindi si è proceduto, per la parte più vicina alla membrana, con metodica ultrasuoni, fino a giungere al diametro idoneo per l’inserimento di un ML cilindrico della misura di 3,2 mm. Il biomateriale da usare deve essere abbastanza denso da non disperdersi nello spazio subantrale, ma nemmeno troppo compatto da non poter essere usato con l’Hydro-Mab: da prove effettuate l’idrossiapatite nanocristallina in matrice acquosa (Ostim, Heraeus-Kulzer) è risultata un ottimo materiale (fig. 9).

fig. 9 Materiale di riempimento con ideale consistenza pastosa.
fig. 9 Materiale di riempimento con ideale consistenza
pastosa.
fig. 10 Dispenser ML pieno di biomateriale prima dell’inserimento in situ.
fig. 10 Dispenser ML pieno di biomateriale prima
dell’inserimento in situ.

Lo strumento è stato inserito già preriempito (fig. 10) al fine di poter calibrare esattamente la quantità di materiale da inserire evitando di lasciare vuoti d’aria nella camera d’innesto nel caso di quantità insufficiente, o di provocare lacerazioni della membrana in caso di eccessive quantità. In genere dopo aver riempito l’ML Injector con il biomateriale lo si avvita nell’alveolo implantare, manualmente o con manipolo contrangolo alla velocita di 40 giri minuto, fino a che lo strumento sporga per 4 mm oltre la corticale sinusale del pavimento del seno mascellare.

fig. 11 Dispenser ML in situ pronto ad iniettare il biomateriale.
fig. 11 Dispenser ML in situ pronto ad iniettare il
biomateriale.

La posizione va verificata radiograficamente (fig. 11). Nel caso in esame l’ML è stato avvitato fino a farlo sporgere nel seno per 6 mm sul versante distale e 4 mm in quello mesiale; quindi con i tempi e modalità già descritti in precedenza si collega l’ago e si inietta il biomateriale, che va spinto in maniera lenta, graduale e misurata mediante rotazione della vite micrometrica incorporata nella siringa. La quantità necessaria in un sito singolo varia da 0,5 a 0,7 ml ed il tempo di iniezione si aggira sui 3 minuti. In genere si procede con rotazioni di 1⁄4 di giro della vite (125 μm) seguite da una pausa di 3 secondi.

fig. 12 Dispenser ML in situ dopo aver iniettato il biomateriale in maniera radiale ed uniforme in sede subantrale.
fig. 12 Dispenser ML in situ dopo aver iniettato il biomateriale in maniera radiale ed uniforme in sede subantrale.

Ultimata l’iniezione si sgancia l’Hydro-Mab dal dispenser e si verifica radiograficamente (fig. 12) l’elevazione ottenuta prima di rimuovere quest’ultimo. Nel caso in cui l’elevazione non sia ritenuta sufficiente, può essere implementata iniettando altro biomateriale con le stesse modalità già descritte. Una volta rimosso l’ML Injector è opportuno iniettare altri 0,2 ml di materiale direttamente nel tunnel implantare, con la cannula, per riempire lo spazio precedentemente occupato dall’ML Injector. Successivamente si procede con il posizionamento dell’impianto, che nel caso di specie era cilindrico del diametro di 4,8 mm con un collo da 6,5 mm e lunghezza 13 mm (fig. 13), seguito da un ultimo controllo radiografico (fig. 14).

14
fig. 14 Sito chirurgico dopo l’inserimento dell’impianto. Si evidenzia un’area cupoliforme intorno all’apice dell’impianto.
fig. 13 Posizionamento implantare.
fig. 13 Posizionamento implantare.

Se la cresta residua ha un’altezza non inferiore a 4 mm, si potrà procedere all’inserimento contestuale dell’impianto che dovrà avere un diametro di 0,4-0,5 mm superiore a quello del dispenser utilizzato. Avvenuto il riempimento si può rettificare, in caso di necessità, il tunnel implantare al fine di poter meglio alloggiare il futuro impianto. Nel caso in cui lo spessore della cresta ossea residua sia inferiore a 4 mm o la stabilità implantare sia insufficiente, si effettuerà il solo innesto di biomateriale e successivamente si procederà con l’inserimento dell’impianto secondo le tempistiche dettate dal tipo del biomateriale stesso. Nei 4 mesi successivi i controlli radiografici hanno evidenziato un addensamento della trama sul sito del rialzo ascrivibile alla neoformazione ossea. Il volume dell’innesto rimaneva radiograficamente stabile (fig. 15).

fig. 15 Impianto con la corona definitiva montata dopo 18 settimane. Si evidenzia un ulteriore addensamento della trama ossea a fronte di una stabilità volumetrica dell’innesto.
fig. 15 Impianto con la corona definitiva montata dopo 18 settimane. Si evidenzia un ulteriore addensamento della trama ossea a fronte di una stabilità volumetrica dell’innesto.

Dopo 4 mesi il caso è stato completato con l’applicazione di una corona in lega aurea-ceramica (fig. 16).

fig. 16 Corona protesica definitiva.
fig. 16 Corona protesica definitiva.

RISULTATI

Sono stati effettuati controlli radiografici ad un anno dall’intervento, al fine di valutare il rimaneggiamento dell’innesto che ha prodotto una media di 4,57±1,39 mm. Non sono stati riscontrati problemi intraoperatori nè complicanze postoperatorie rilevanti. Gli impianti ad un anno risultano tutti integrati e protesizzati. Le tabelle 1, 2 e 3 mostrano le specifiche dei parametri valutati.

tab. 1 (DS = Deviazione Standard)
tab. 1
(DS = Deviazione Standard)
tab. 2 (DS = Deviazione Standard)
tab. 2
(DS = Deviazione Standard)
tab. 3 (DS = Deviazione Standard)
tab. 3
(DS = Deviazione Standard)

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Uno dei motivi più frequenti degli insuccessi che si incontrano negli interventi di rialzo del pavimento del seno mascellare è connesso alla rottura della membrana di Schneider che, se lacerata, non può più svolgere la funzione contenitiva dell’innesto, indispensabile affinché il biomateriale si possa stabilizzare e trasformare in osso di sostegno per gli impianti. È più facile lacerare la membrana quando questa è sottile e l’inserimento del materiale è troppo veloce (17, 18), in presenza di setti (27) e quando la si solleva più di 5 mm (28). Per questi motivi alcuni autori consigliano di evitare impianti che sporgano oltre 4 mm nel seno (29) e indicano che la quantità di materiale che si può inserire dipende dalla distensibilità della membrana (30). Un altro importante parametro da considerare è che il materiale innestato può andare incontro a riassorbimento con una perdita di altezza: Ozyuvaci nel 2003 indicava un rimaneggiamento variabile tra 0,94 mm e 1,5 mm dopo 6/8 mesi con HA e fosfato tricalcico. Per questo motivo sono consigliati almeno 2 mm di materiale posizionati a cupola sopra l’impianto (31). Infine risulta essere di primaria importanza la corretta quantità di biomateriale inserita che deve essere almeno di 0,5 ml (32-52).
La sistematica descritta è attuabile sia con approccio flap sia flap-less e presenta numerosi vantaggi. Gli aumenti di volume appaiono cospicui, tridimensionali e sovrapponibili a quelli ottenibili con altre sistematiche a finestra laterale; il tutto a fronte di una bassa invasività e un’alta precisione dovuta alla lenta infusione di materiale. Non si sono registrate lacerazioni della membrana anche se, nel caso fossero accadute, la consistenza pastosa del biomateriale usato è tale da renderlo facilmente drenabile attraverso il trasporto muco-ciliare. Un altro vantaggio della tecnica consiste nella ridotta manipolazione del biomateriale che riduce i rischi di contaminazione dello stesso. L’innesto di idrossiapatite nanocristallina in matrice acquosa (Ostim, Heraeus-Kulzer) inserita a cupola con il dispenser è scarsamente radiopaco inizialmente, mentre col passare delle settimane si evidenzia sempre più l’addensamento della trama ossea verosimilmente per neomineralizzazione. La bassa traumaticità della tecnica HySiLyft unita alla sua precisione ne fanno una metodica affidabile e dai risultati riproducibili.

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Si ringrazia la ditta FMD Falappa Medical Device di Roma per la fattiva collaborazione e realizzazione dello strumentario.
To cite: Doctor Os • gennaio 2014 • XXV (1)
Autore: Stefano Fanali, Daniele Fanali, Mirko Andreasi Bassi, Luca Confalone, Michele Antonio Lope
Istituzione: Università degli Studi di Chieti e Pescara “G. D’Annunzio” Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche Insegnamento di Odontostomatologia e Medicina Legale, Titolare: professor S. Fanali