Licenziamento per reiterato ritardo e falsificazione della presenza

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Una ennesima pronuncia della Suprema Corte di Cassazione sulla correttezza del licenziamento del dipendente che è venuto meno ai propri doveri.
Con sentenza n. 21203 del 17 settembre 2013, la Cassazione ha affermato la legittimità del licenziamento del lavoratore che si recava ripetutamente tardi al lavoro, falsificando addirittura l’orario di ingresso.
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte, un dipendente era stato licenziato a seguito di costanti ritardi nel presentarsi al lavoro.
In particolare, solo grazie all’utilizzo di una agenzia investigativa - il cui impiego è pacificamente ammesso dalla giurisprudenza di merito e di legittimità - la datrice di lavoro aveva scoperto che il lavoratore era venuto meno ai doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, ricorrendo a timbrature false dell’orario di entrata ed arrivando addirittura ad allontanarsi ingiustificatamente dal luogo di lavoro senza più farvi rientro.
Il lavoratore era risultato soccombente nel corso del giudizio di primo e secondo grado ed aveva quindi impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Torino, sostenendo che il licenziamento comminato dalla datrice di lavoro era illegittimo in quanto l’istruttoria aveva confermato che la società, prima ancora di disporre i controlli, nutrisse già dei dubbi circa il rispetto degli orari da parte del dipendente. Pertanto, secondo il ricorrente, la società aveva violato i principi di tempestività ed immediatezza del licenziamento e il lasso di tempo trascorso tra i primi fatti accertati e la contestazione dell’addebito avrebbero ingenerato nel lavoratore stesso la convinzione della tolleranza da parte del datore di lavoro del reiterato ritardo nell’iniziare la prestazione lavorativa.
In altre parole, la circostanza che, seppure a conoscenza delle irregolarità, il datore di lavoro non aveva mai preso provvedimenti per evitare tali violazioni, aveva generato nel lavoratore la convinzione della tolleranza del ritardo da parte del datore di lavoro e quindi lo aveva perpetrato, convinto della poca rilevanza della violazione.
Ebbene, la Suprema Corte ha precisato che “nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di una modalità di lavoro, non si può ritorcere a danno del datore di lavoro l’affidamento riposto nella correttezza del dipendente”.
La Suprema Corte ha precisato che non si era trattato di un episodio isolato, ma di più episodi avvenuti in più riprese in breve lasso di tempo, per cui le modalità della condotta e la frequenza degli episodi contestati deponevano per la mala fede del lavoratore. Di conseguenza, la gravità della condotta posta in essere dal ricorrente era stata tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che avrebbe dovuto sorreggere il rapporto di lavoro.

 

A cura di: Valentina Vitale