La moderna parodontologia

La terapia parodontale odierna è molto cambiata rispetto anche a pochi anni fa. Cambiamenti che riguardano le tecniche chirurgiche, la loro obiettiva valutazione, l’importanza delle patologie generali intercorrenti, la conoscenza del dato genetico, la centralità del paziente nella formulazione dei piani di terapia.

Per quanto riguarda le tecniche chirurgiche l’approccio condiviso è quello di ridurre l’invasività e di migliorare o mantenere l’estetica del paziente.

Questo in particolar modo per quanto riguarda le tecniche ricostruttive ossee e quelle di chirurgia mucogengivale. La prognosi dei difetti infraossei è diventata da molto tempo favorevole, prima con l’impiego di membrane barriera, poi con tecniche rivolte alla stabilizzazione del coagulo, oggi con particolare attenzione anche ai tessuti molli.

La possibilità di ricostruire i tessuti superficiali con tecniche che prevedano l’uso di tessuto connettivo, di collagene o di derma eterologo o il semplice uso di lembi per scorrimento ha portato la copertura radicolare da essere un evento con grande variabilità di risultati ad una predicibilità superiore al 90%.

Risultati ottenuti grazie al grande rigore scientifico con cui sono state applicate e valutate le diverse tecniche chirurgiche.

Numerosi studi oggi sono disponibili al clinico con metanalisi dei lavori pubblicati sui vari argomenti, che portano il livello di accuratezza molto in alto; la presenza poi di consensus conference che vengono organizzate dalla Federazione Europea di Parodontologia e dall’American Academy of Periodontology, talvolta in maniera congiunta, offrono al clinico una opportunità di ricevere informazioni aggiornate, soprattutto obiettive sulle indicazioni e sulla presenza di dati scientifici che supportano i diversi approcci terapeutici.

La recente valutazione dell’impatto della malattia parodontale su patologie quali il diabete, la malattia arterosclerotica, l’infarto del miocardio e la prenatalità costituisce oggi una corposa quantità di dati che ha portato alla definizione di “perio medicine”, ovvero di medicina parodontale, per indicare i collegamenti tra i fenomeni infiammatori che sono alla base di questa malattia e le patologie generali.

Ed infine, alle ricerche come alla professione, sono richiesti risultati non solo “evidence based”, basati sull’evidenza scientifica, ma anche “patient centered”, cioè che considerino la centralità del paziente ed il suo ruolo sia nella parte attiva terapeutica che nella valutazione dei risultati.

All’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano, dove ho recentemente preso servizio come docente in ruolo di Parodontologia, l’attività parodontale trova applicazione su queste linee ed in particolare nel considerare il paziente il centro della terapia, dalla discussione del caso alla scelta della terapia più idonea, alla condivisione del mantenimento ed alla valutazione dei risultati.

Qualunque sia il percorso terapeutico scelto, naturalmente, non si può prescindere dal fatto che la parodontite è un’infezione batterica e che il primo e fondamentale momento della terapia resta il controllo batterico che deve essere fatto, anche questo, con la collaborazione convinta del paziente.

La terapia continua ad avvalersi nella maggior parte di casi dello scaling e del root planing, oltre che, in specifiche occasioni, dell’impiego di antibiotici mirati.
Solo quando l’ecosistema batterico verrà portato alla normalità o comunque ad una soglia compatibile con il sistema immunitario del paziente, si potrà accedere alla terapia chirurgica, ove necessario.
Questa considerazione è di importanza vitale quando si contempli l’uso di impianti per la sostituzione di alcuni elementi dentari ed il ripristino della funzione masticatoria. Inserire un impianto nel cavo orale di un paziente non controllato dal punto di vista microbiologico espone alla colonizzazione batterica dell’impianto con conseguente mucosite perimplantare fino alla perimplantite.

In conclusione, oggi, grazie alle conoscenze relative alla malattia parodontale ed alla sua terapia, si può affermare che non esista grado di malattia che la terapia non possa stabilizzare o trattare.

Questo deve farci riflettere soprattutto quando valutiamo l’elemento affetto da parodontite e ne consideriamo la sua sostituzione con un impianto. Troppo spesso vediamo casi in cui denti mantenibili con funzione e con soddisfazione del paziente vengono estratti e sostituiti con impianti.Ma, anche nei casi in cui l’indicazione ad inserire un impianto è corretta, occorre tuttavia ricordare che il sistema genetico del paziente, la sua infezione e la capacità di combatterla non cambiano con l’inserimento dell’impianto.
La terapia parodontale, eliminando l’infezione batterica è la base per le successive terapie, protesiche o implantari. ●

Massimo De Sanctis