Viviamo in una società la cui organizzazione spaziale non è stata progettata per la mobilità delle persone con disabilità, perlomeno fino a qualche decina di anni fa.

Da quando finalmente si è diffusa una maggior sensibilità verso questo problema, la legislazione ha introdotto una serie di prescrizioni affinché tutto il patrimonio edilizio e tutte le funzioni pubbliche siano accessibili anche da una persona su sedia a rotelle. Dai gradini dei marciapiedi in corrispondenza dei semafori alla segnaletica sonora di questi ultimi, dalle rampe inclinate di accesso agli uffici pubblici ai servizi igienici dei locali, finalmente il nostro mondo sta diventando sempre più accessibile.

E ovviamente anche la legislazione in campo odontoiatrico si è adeguata a questa linea. Per ottenere l’autorizzazione sanitaria (o la sua equivalente in regime di autocertificazione, dipende dalle Regioni) l’apertura di uno studio odontoiatrico deve oggi rispettare i requisiti di visibilità da parte dei portatori di handicap.

Vediamo cosa vuol dire questo termine.
In Italia è oggi in vigore la legge n° 13 del 9 gennaio 1989 “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati” e il successivo decreto ministeriale n° 236 del 14 giugno 1989 “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata”.

La legge distingue tre livelli di fruibilità degli ambienti: accessibilità, visibilità, adattabilità. Riportiamo quanto citato nel decreto ministeriale 236 del 1989:

“Per accessibilità si intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.”

È quindi il livello di attenzione che consente a un disabile di vivere appieno tutte le funzioni e tutti i locali di un alloggio. Ogni nuova costruzione oggi deve adeguarsi a tale criterio.

“Per visitabilità si intende la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. Sono spazi di relazione gli spazi di soggiorno o pranzo dell’alloggio e quelli dei luoghi di lavoro, servizio ed incontro, nei quali il cittadino entra in rapporto con la funzione ivi svolta.” Questo livello consente l’accesso da parte di una persona con ridotte capacità motorie alle funzioni minime essenziali dei locali pubblici o privati cui accede.

“Per adattabilità si intende la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di renderlo completamente ed agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale.”

Quest’ultima prescrizione invece è volta ad un adattamento progressivo e predisposto del patrimonio edilizio. Tale requisito viene prescritto in ogni progetto di modifica sostanziale delle unità immobiliari, in modo che, nel caso in cui in futuro tale alloggio dovesse ospitare un disabile, senza interventi importanti possa essere adeguato alle esigenze spaziali e funzionali che ne necessitano.

Lo studio odontoiatrico, essendo una funzione privata aperta al pubblico, deve assolvere al secondo livello previsto dalla norma: deve essere visitabile da una persona in sedia a rotelle.

Ma cosa si intende in pratica per visitabilità?
La norma vigente per gli studi prescrive che il paziente abbia accesso alla struttura senza limitazioni, per la fruizione delle minime funzioni offerte.
Ovvero deve poter accedere allo spazio di attesa, ai servizi di amministrazione e ad almeno una sala operativa in cui essere curato.
Ovviamente alla base di tale requisito vi è la possibilità di poter avere un accesso dall’esterno libero da impedimenti e di poter usufruire di un bagno opportunamente dimensionato.
Partiamo dall’esterno: l’accesso allo studio deve avvenire senza ostacoli al percorso di una sedia a rotelle. La presenza di gradini deve essere sopperita dalla disponibilità di un sistema che consenta di superarli. Si può ovviare disponendo di una rampa mobile da posizionare al bisogno (purché la pendenza non superi il 10%), oppure montare un montascale elettrico. Tale ausilio può essere fisso (nel qual caso bisogna ottenere l’autorizzazione condominiale alla posa) o sotto forma di trattorino cingolato.

In caso di presenza di un ascensore questo deve essere dimensionato per consentire l’accesso della carrozzella. In alternativa ci si può dotare di una sedia a rotelle di dimensioni ridotte, tali da consentire l’ingresso in cabina.

Tutto quanto descritto finora porterebbe quindi alla preferenza per la scelta di un locale al piano terreno che non comporti impedimenti o dislivelli da superare. Una volta arrivati all’ingresso dello studio il paziente deve poter accedere alla sala di attesa e alla reception. All’estero, e in alcune ASL di Italia, viene addirittura richiesto che una parte del bancone della segretaria sia sufficientemente bassa da poter colloquiare direttamente con il disabile sulla carrozzella. La larghezza dell’apertura di tutte le porte che il paziente dovrà superare deve essere di almeno 75 cm netti, a battente aperto. Nel caso del bagno è obbligatoria una porta a battente che si apra verso l’esterno o scorrevole. In caso di nuova costruzione si deve predisporre una porta da 90 cm, in caso di adeguamento sono sufficienti 80 cm, nel rispetto dei 75 cm netti di cui sopra.

Fig. 1 Un moderno bagno a norma disabili. Si noti il mobiletto su ruote che, una volta estratto, permette la rotazione della carrozzella.

Il bagno è poi il locale maggiormente normato dal succitato D.M. 236/89.
La legge prescrive determinate misure massime e minime tra gli apparecchi sanitari e uno spazio di rotazione idoneo della carrozzella al suo interno.
Riportiamo quanto prescritto nel D.M. 236/89:

  • Art. 8.1.6: “lo spazio necessario all’accostamento e al trasferimento laterale dalla sedia a ruote alla tazza w.c. e al bidet, ove previsto, deve essere minimo 100 cm misurati dall’asse dell’apparecchio sanitario (a tal proposito voglio citare l’aneddoto di quando, durante un sopralluogo, un tecnico dell’ASL, evidentemente poco formato in materia, mi contestò la rispondenza a tale requisito; infatti misurava la distanza non dall’asse dell’apparecchio – intesa come mezzeria del w.c. – ma dall’asse del w.c. – intesa come bordo della tavoletta – lasciandomi senza parole);
  • lo spazio necessario all’accostamento frontale della sedia a ruote al lavabo deve essere minimo di 80 cm misurati dal bordo anteriore del lavabo;
  • i lavabi devono avere il piano superiore posto a cm 80 dal calpestìo ed essere sempre senza colonna con sifone, preferibilmente del tipo accostato o incassato a parete;
  • i w.c. e i bidet preferibilmente sono di tipo sospeso, in particolare l’asse della tazza w.c. o del bidet deve essere posto ad una distanza minima di cm 40 dalla parete laterale, il bordo anteriore a cm 75-80 dalla parete posteriore e il piano superiore a cm 45-50 dal calpestìo.

Qualora l’asse della tazza w.c. o bidet sia distante più di 40 cm dalla parete, si deve prevedere, a cm 40 dall’asse dell’apparecchio sanitario, un maniglione o corrimano per consentire il trasferimento. Nei servizi igienici dei locali aperti al pubblico è necessario prevedere e installare il corrimano in prossimità della tazza w.c., posto ad altezza di cm 80 dal calpestìo, e di diametro cm 3-4; se fissato a parete deve essere posto a cm 5 dalla stessa. Inoltre, all’interno del servizio igienico deve essere consentita la rotazione della carrozzella, prescrivendo un diametro di rotazione di 150 cm. Analogo spazio di rotazione viene prescritto per i corridoi in occasione di svolta a 90° o inversione di marcia. Nella pratica però questo dimensionamento del bagno per disabili ha portato in realtà a una enorme casistica di realizzazioni difformi, dovute ad una errata interpretazione delle prescrizioni riportate nella norma. E questo è sicuramente dovuto anche al fatto che al momento dell’uscita della legge del 1989 in molte circolari interpretative e in molte pubblicazioni del settore, unitamente ad una serie di indicazioni dimensionali, venne riportato un esempio grafico che, attenzione, non rispondeva ai requisiti stessi imposti (vedi figura 2)!

Fig. 2 L’esempio “errato” riportato all’epoca dell’uscita della legge 236 dell’89.

Da ultimo ci si mettono anche alcuni tecnici delle ASL, o alcuni progettisti non particolarmente ferrati in materia, per cui la casistica di realizzazioni difformi o sovrabbondanti di dotazioni non obbligatorie si spreca.
Come si nota dalla lettura della norma non viene prescritto l’utilizzo di particolari apparecchi sanitari, ma semplicemente che questi rispettino determinate misure.
In realtà, quindi, rispettando le distanze e i requisiti minimi della normativa, si può tranquillamente realizzare un servizio igienico a norma, offrendo ai propri pazienti un locale assolutamente degno di uno studio professionale.

Fig. 3: Corretto dimensionamento di un bagno secondo la norma vigente.