Licenziamento per giusta causa per il lavoratore che pratichi un’attività sportiva contrastante con l’interesse dell’impresa

Il datore di lavoro può intimare il licenziamento per giusta causa al lavoratore che eserciti un’attività, in particolare per quanto ci occupa un’attività sportiva, che interferisca in maniera evidente con l’attività lavorativa principale svolta dal dipendente e per il quale esso è retribuito.
Ovviamente, non qualunque attività sportiva esercitata dal lavoratore fuori dall’orario di lavoro giustificherà il licenziamento, tuttavia le valutazioni da fare, necessariamente da svolgere di volta in volta in base al caso concreto, non sono delle più semplici.
Una attività sportiva agonistica, o financo professionistica, potrebbe essere considerata accettabile e non pregiudicante l’attività lavorativa qualora non sussistano ripercussioni di sorta sulla qualità e quantità del lavoro prestato dal lavoratore, mentre un’attività non agonistica, o finanche esercitata con sole finalità ricreative potrebbe comportare in taluni casi un pregiudizio al normale svolgimento delle attività lavorative del lavoratore.
Il discrimine sembra doversi individuare nella capacità del lavoratore di sostenere entrambe le attività senza che ciò comporti un peggioramento delle sue prestazioni lavorative sia per quanto riguarda la qualità, sia per quanto riguarda la quantità delle stesse.
Tale peggioramento, se non accompagnato dall’immediata rinuncia all’attività sportiva da parte del lavoratore, andrebbe a compromettere sicuramente il rapporto fiduciario intercorrente tra datore di lavoro e lavoratore.
Gli obblighi posti in capo a quest’ultimo, infatti, non si limitano all’obbligo di fedeltà previsto dall’art. 2105 c.c., con il quale il lavoratore si impegna a non trattare affari in concorrenza con l’imprenditore e a non divulgare notizie attinenti all’impresa.
La ratio di detta norma, che autorizza questi obblighi, è inspirata dalla necessità di far sì che il lavoratore non rechi, con il suo comportamento, un pregiudizio diretto all’impresa.
Tuttavia, sulla scorta della stessa motivazione, ossia l’esigenza che il lavoratore non arrechi pregiudizio o danno alla stessa impresa per cui lavora, è possibile dilatare, sulla scorta di quanto sostenuto dalla Cassazione con sentenza 144/2015, l’obbligo di fedeltà del lavoratore fino a farvi ricomprendere anche i doveri di buona fede e correttezza da tenere non solo in ambito lavorativo, ma anche in ambito extralavorativo, di modo che il lavoratore deve garantire che le attività sportive esercitate nel proprio tempo libero non comportino uno scadimento della resa lavorativa.
Se sicuramente il licenziamento del lavoratore potrà apparire ingiustificato qualora non vi sia un apprezzabile scadimento della qualità del lavoro, correlato e attribuibile alla compresenza dell’attività sportiva sostenuta, di pari passo esso apparirà solo eccessivo, ma non ingiustificato o illegittimo, qualora l’attività fisica estranea al rapporto di lavoro comporti uno scadimento lieve della qualità del lavoro del dipendente oppure anche qualora si renda necessario un cambio di mansioni oppure si verifichi l’assenza, giustificata, per brevi periodi dal posto di lavoro, mentre sarà sicuramente legittimo e giustificato il licenziamento del lavoratore che, già demansionato a causa dell’impossibilità di mantenere le abituali mansioni, continui nell’esercizio dell’attività sportiva pregiudizievole, o comunque si assenti dal lavoro per frequenti e/o lunghi periodi per rimediare agli infortuni occorsi, fuori dal luogo di lavoro, nell’esercizio di un’attività sportiva esercitata in modo continuativo e continuativamente pregiudizievole agli interessi dell’impresa. ●

Gabriele Papagna

A cura di: Giovanni Pasceri