Il teamleader e la “patologia da troppo benessere”

Mi trovo molto spesso a paragonare il titolare di uno studio dentistico ad un direttore d’orchestra. Una singola persona che riesce a produrre una sinfonia coordinando archi, violini, violoncelli, contrabbassi, flauti, clarinetti, corni, trombe, timpani, arpe, percussioni di vario tipo e a volte anche voci.

È lui che sceglie uno per uno i suoi musicisti, li prepara passandogli il messaggio della sua mentalità di suonare la musica, quindi, spiega loro gli andamenti e i tempi, gestisce i pezzi dei solisti, dosa gli interventi del coro.

Rimarco spesso un importante concetto: la stessa orchestra, composta degli stessi musicisti, suonando la stessa sinfonia (ad esempio la famosa Quinta di Beethoven), se diretta da due direttori d’orchestra diversi, otterrà due prestazioni completamente differenti.

Il successo o l’insuccesso di una performance si determina infatti nella capacità del direttore d’orchestra di raccordare e amalgamare tanti artisti, che sono spesso prime donne, e che, all’abilità, mischiano anche il proprio orgoglio e le proprie ambizioni, insomma la propria vita. Egli deve quindi essere non solo un esperto conoscitore della sinfonia, ma anche dei suoi strumenti, cioè delle persone che suoneranno per lui.

Da qui si capisce quanto importanti siano le sue abilità di leadership, motivazione e mediazione. Di come deve essere bravo a tastare l’umore dei suoi artisti e della sala, quanto ad anticipare i problemi oppure risolvere ogni tipo di inconveniente soprattutto quelli che sorgono all’ultimo minuto.

Così è, in questa metafora legata al mondo dell’arte della musica, la vita del titolare dello studio odontoiatrico.

Egli deve conoscere il suo mercato e i gusti dei clienti conoscendo al meglio la sua proposta unica di valore, deve avere la consapevolezza nella visione d’insieme che solo lui possiede dei variegati ruoli dei suoi collaboratori, dalla amministrazione alla segreteria, dalla contabilità alle varie specialità presenti in area clinica, dal front desk al responsabile marketing, così come il direttore d’orchestra con ognuno dei suoi singoli musicisti.

È unico, solo lui è in grado di farlo, come se il primo violino volesse dirigere lui l’orchestra, o Leclerc o Sainz volessero dirigere il team Ferrari, o il migliore dei miei collaboratori volesse dirigere lo Studio Massaiu.

A questo punto subentra uno degli aspetti più delicati, per entrambi, che è la gestione dei “campioni”. Argomento a me molto caro perché spesso mal interpretato o frainteso e che facilmente porta, se non gestito al meglio, disarmonia all’interno del gruppo di lavoro, qualunque esso sia.

Il successo o l’insuccesso di una performance si determina infatti nella capacità del direttore d’orchestra di raccordare e amalgamare tanti artisti

Un titolare di studio dentistico, come un direttore d’orchestra o un coach di una squadra di calcio, basket o qualsiasi altro sport in squadra, deve chiaramente puntare ad avere campioni nel suo team.

Spesso, questi ultimi, sono molto più bravi di lui in quello che fanno. Se parliamo di musica, il primo violino è di sicuro molto più bravo del suo direttore d’orchestra, con quello strumento.

Se guardiamo all’NBA, Michael Jordan o Kobe Bryant erano mille volte migliori sul campo del loro allenatore Phil Jackson. Con il calcio uguale, nessun mister che lo ha allenato avrebbe mai potuto eguagliare in talento il Ronaldo dei tempi d’oro.

Eppure…

Senza una guida anche il più grande campione non può manifestare appieno le sue potenzialità.  Il coach grazie alla capacità di avere e utilizzare la sua personale visione d’insieme, che corrisponde alla competenza di vedere al di là del singolo, il perfetto amalgamarsi delle varie figure, dà a ogni componente del team i ruoli e le responsabilità che gli competono e per i quali lui ha lavorato singolarmente nel gruppo.

Senza la sua opera queste stelle non sarebbero mai potute splendere nel modo straordinario che tutti noi ricordiamo. Dirò di più, forse alcune di loro non sarebbero mai state neanche notate e non avrebbero avuto l’occasione di sorgere.

Il titolare dello studio odontoiatrico deve vedere le cose allo stesso modo. Il suo esperto di marketing social, il programmatore del sito web, la sua segretaria amministrativa e quella contabile, il suo commercialista, la sua commerciale, le sue igieniste, i suoi clinici, gli odontotecnici e tutti gli altri collaboratori, devono essere molto bravi in quello che fanno, persino più di lui (quantomeno in quell’ambito specifico in cui sono specializzati).

Il problema sorge quando alcuni “campioni”, molto bravi nella loro funzione, pensano di essere migliori – o di non aver più bisogno – del loro titolare. Raggiungono quello stato sociale ed economico che io definisco la “patologia da troppo benessere”.

Tutto quello che si ha è oramai acquisito, si dimenticano i passi svolti per raggiungere l’alto livello operativo nel quale ci si trova, ma soprattutto si tralascia e si scorda quanto il titolare, vedendo per primo in lui il “campione”, ha investito in tempo, danaro ed energia per fargli poi raggiungere i traguardi che lui considera oramai come sua esclusiva dote di natura.

E inizia a portare avanti un ragionamento del genere: “Io, in quello che faccio, sono molto più bravo del mio capo, oramai, quindi mi lasci fare quello che so fare meglio di lui e non si intrometta nelle mie scelte, qua in studio”, considerando, dunque, lo studio un po’ suo e detronizzando il titolare non considerandolo all’altezza.

Ecco, qui ci troviamo di fronte ad un “bug” pericolosissimo.

Questo atteggiamento mentale, se non affrontato subito con fermezza e decisione, rischia di mandare lo studio a gambe all’aria. Il campione, infatti, non possiederà mai la capacità di avere la visione d’insieme di quello che è la gestione della dirigenza perché la sinfonia, la squadra o l’azienda agiscano tutte in perfetta armonia, nell’ottica di cogliere grandi risultati di gruppo.

Lui è un grande solista che si sente arrivato, perfino intoccabile nei casi peggiori, ignorando quanto lavoro “dietro le quinte” venga svolto da chi sta al vertice per far girare la macchina al massimo regime, financo a suo favore. Ho visto più e più volte dei campioni – o che sembravano tali – andare a disintegrarsi una volta lasciata la loro azienda.

Il mix di presunzione, superbia e poca consapevolezza del mondo li ha fatti scagliare contro chi li ha aiutati a sviluppare le loro potenzialità e a crescere come professionisti di valore, e che, in un certo qual modo, li ha coccolati facendogli fare – e bene – solo quello in cui erano bravi, organizzando tutta la macchina attorno affinché potessero esprimere il loro magnifico potenziale senza le zavorre gestionali a carico del team dirigenziale.

In tanti possono diventare bravissimi in un’arte, scienza o professione. Ma molti meno sono quelli abili nel gestire al meglio un team o mandare avanti uno studio dentistico, specialmente in Italia.

Nel nostro paese servono esperienza, abilità, resilienza, coraggio, adattabilità, leadership e perseveranza che sono “soft skills” molto difficili da padroneggiare appieno, per le quali si combatte ogni giorno contro chi dovrebbe aiutarti nello sviluppo della tua attività professionale, e invece mette costantemente i bastoni fra le ruote.

Spesso il campione diventa così tanto critico che si trasforma in uno “scollaboratore”, che il titolare sano non può accettare di tenere con sé. Quando finalmente lo allontana, con le buone o con le cattive, il titolare ritrova il sorriso mentre lui, solo allora, si accorge dell’errore di presunzione, ma oramai è troppo tardi.

Una volta andato via dallo studio dove tutto funzionava alla perfezione, anche in suo favore, nota che i fatti della vita non sono così facili e automatici come aveva previsto in principio.

Che la sua sola abilità operativa, per quanto alta, non bilancerà mai le sue mancanze gestionali. Troppo in ritardo si accorge di aver solo guardato dalla sua piccola, per quanto bella e dorata, finestra, invece che dall’alta torre del suo tanto criticato – perchè invidiato – “capo”.

Il problema sorge quando alcuni “campioni”, molto bravi nella loro funzione, pensano di essere migliori
– o di non aver più bisogno – del loro titolare.

Al titolare dello studio, ancora, spettano due importanti compiti:

  • Conoscere perfettamente le dinamiche delle varie attività e specializzazioni in cui i suoi collaboratori operano. In pratica non può demandare senza coscienza al 100%, pretendendo il risultato senza il minimo controllo finale. Lui deve sapere da dove si parte e quale è il risultato di eccellenza che ogni singola persona che lavora nello studio deve ottenere. Il titolare deve avere un’idea chiara di ogni attività in ogni micro-funzione dello studio; certo, non deve saperlo effettuare bene nella pratica operativa, quello è compito dei suoi campioni, ma deve pretendere che ogni prodotto (materiale o immateriale) sia perfetto. Farlo manualmente da sè sarebbe un grande spreco del suo tempo che invece ha un immenso valore aggiunto. Lui deve solo indirizzare e motivare le persone giuste, controllare il rispetto di mansionari e protocolli e valutare i risultati del singolo, delle aree, e dell’azienda in toto.
  • Analizzare a mente fredda – estraniandosi dal contesto – le problematiche del quotidiano, avendo come unico obiettivo il benessere del proprio studio, di chi ne usufruisce e di chi vi lavora, per poter valutare dal di fuori le dinamiche interne ed esterne alla sua attività, è un impegno quotidiano.
  • Ultimissima considerazione: il titolare di studio, il coach e il direttore d’orchestra di successo elaborano ognuno la loro personale ricetta, o visione d’insieme, con cui gestire il proprio team e condurlo all’apice. Questa può variare in base al loro carattere, portando a risultati diversi. Come detto prima, la Quinta di Beethoven eseguita dall’orchestra di Abbado è diversa da quella di Muti, per quanto entrambe possano entusiasmare o piacere al pubblico.

Allo stesso modo, permettetemi questa licenza poetica, non solo sportiva, la Dinamo Basket Sassari di Sacchetti e quella di Pozzecco sono state molto diverse, entrambe vincenti, e mi hanno entrambe regalato grandi emozioni.

Quindi anche due imprenditori, che operano nello stesso mercato, settore e perfino città possono convivere, e creare grandi imprese senza per forza andare in conflitto uno con l’altro, perché comunque creeranno aziende diverse. Alla base, però, deve esserci sempre il rispetto per l’altro.

Reciproco.

Solo su questo aspetto si può fondare una storia di successo. Altrimenti si rimarrà piccoli, a vivacchiare senza onori né cadute, tutta la propria esistenza. E vivere di risentimento per chi ce l’ha fatta secondo la malata mentalità italiana, per cui chi guadagna bene non se lo merita, di certo ruba o non paga le tasse. Tutto questo a mio parere è un po’ uno spreco di energia. Meglio sarebbe usarla per migliorare te stesso, non credi?