È divenuto molto frequente, negli ultimi tempi, sottolineare l’importanza del dialogo con il paziente, rispolverando il vecchio termine di “medicina narrativa”. Indispensabile prestare attenzione a questo concetto, che, nella sostanza, è ispirato dall’antico e insuperato insegnamento di Ippocrate:
«È più importante sapere che tipo di persona abbia una malattia che sapere che tipo di malattia abbia una persona» (Ippocrate di Kos, 460-377 A.C.).
È infatti noto ad ogni medico come, dalla fase diagnostica a quella terapeutica, tanto lo svolgimento di ogni particolare, quanto il risultato finale, dipendano in larghissima misura dal tipo di paziente che abbiamo davanti, ovvero, per dirla con Ippocrate, dal tipo di persona che abbia la malattia da curare.
Per agire correttamente, al riguardo, è indispensabile fare attenzione, grande attenzione, perché, nel citare, e consigliare, questo approccio fondamentale della nostra pratica quotidiana, non è sufficiente dare il suggerimento generico di imparare a dialogare. È invece indispensabile chiarire quale sia la precisa procedura operativa da realizzare per mettere in pratica questo consiglio.
È, infatti, inadeguato parlare genericamente di dialogo da impostare con il paziente, dato che tale dialogo può prendere l’avvio, e poi proseguire, in modi molto differenti e spesso non sufficientemente efficienti, perché improvvisato e “buttato là” in modo spontaneo, ed anche volonteroso, ma da dilettanti del dialogare. Utilissimo è, pertanto, che si debba imparare a gestire il dialogo in modo correttamente professionale, ricordando come, a questo proposito, venga in nostro aiuto l’ergonomia, con il suo terzo principio. Questo principio insegna come “dialogare” al meglio, applicando i precetti di un’apposita procedura operativa, scandita dalle sue tre fasi: preparazione-esecuzione-riordino (PER)che andiamo, pertanto, ad esaminare.
Fondamentale tener presente che anche igienista ed ASO devono abituarsi a raccogliere, con dialoghi informali, e il più possibile confidenziali, quanto va raccolto in varie situazioni, specie quando il dialogo viene facilitato dalla cosiddetta leadership situazionale, in molti momenti in possesso prioritario dei nostri collaboratori.
1. PREPARAZIONE
Iniziamo incorporando nel termine “narrare” il termine “dialogare”. Ebbene, ogni dialogo deve avere un tema da trattare e, pertanto, la nostra prima premura deve consistere nell’avere in repertorio quei temi che, in linea generale, sono i più frequentemente trattati in ogni dialogo con i pazienti e che, frequentemente, vengono suscitati dalle domande dei pazienti stessi.
Nel mio recente testo “Comunicare è curare” da pagina 150 a pagina 158, ho elencato quattordici titoli che rappresentano i temi più frequentemente trattati. Per comodità del lettore li ripropongo, enumerandoli:
- attività fisica
- complimenti per la dimostrazione di longevità positiva
- complimenti per aspetto o particolari molto positivi
- pazienti giovani: ornamenti corporei e pericoli
- pazienti con patologie multiple
- consigli e raccomandazioni verso altri specialisti
- situazioni familiari particolari
- solitudine e dialoghi di sostegno
- solitudine e problemi alimentari
- il planisfero come stimolo a dialoghi relativi a viaggi o esperienze personali
- hobby, interessi artistici
- commenti allo schermone high-tech della sala d’attesa
- figli, nipoti e animali domestici
- spettacoli sportivi e tifo.
Ovvio che tali temi possono essere variati in qualsiasi maniera: l’importante è che ogni collega sappia trattare con disinvolta capacità di personalizzazione (e di ripetizione!) quanto ha strutturato come “preparazione” standard del suo campionario.
Altri due elementi importanti nella “preparazione” sono costituiti da strumenti che occorre sapientemente impostare e gestire: il layout e il tempo. Per il primo, la logistica, intendiamo la sede dello studio in cui dialogare, quali, per scelta motivata, la sala di ricevimento, lo studio privato o la sala operatoria. Per il secondo (tempo) intendiamo i minuti specifici che ogni appuntamento deve includere per dialogare, tanto più abbondanti quanto più pretendono le caratteristiche del singolo paziente.
2. ESECUZIONE
“Preparato” tutto l’occorrente al dialogo (sede, tempo, temi standard) è fondamentale comprendere che, per saper utilizzare al meglio le valenze del dialogo (o “medicina narrativa” che dir si voglia), alle tradizionali anamnesi remota ed anamnesi prossima, occorre associare sempre anche l‘anamnesi contestuale.
Questa consente di identificare il “contesto” nel quale il paziente è immerso, sempre denso di valori diagnostici e, conseguentemente, dettaglio utilissimo per prescrizioni terapeutiche. E qui siamo alla definizione di una procedura operativa standard: per poter raccogliere l’anamnesi contestuale è indispensabile saper dialogare in modo confidenziale su argomenti che solo marginalmente trattino dell’anamnesi remota e di quella prossima. È per questo che deve essere curata con meticolosità quella “preparazione” con cui abbiamo aperto il capitolo della procedura operativa relativa al dialogo.
Una parte di grande importanza nell’ambito della “esecuzione” è quella relativa alla documentazione della parte contestuale. È questo un argomento particolarmente delicato e di solito molto trascurato. Infatti, mentre è doveroso, e scontato, che vengano registrati tutti i dati documentali relativi alle terapie, alle immagini foto e radiografiche, alle impronte ed ai modelli che hanno accompagnato tali terapie, nonché alle relative conseguenze economiche, non sempre si è altrettanto scrupolosi nel documentare per iscritto e nel mantenere chiaramente ordinati (e riservati) gli elementi contestuali.
È questa una gravissima carenza che impedisce a distanza di tempo, talora di anni, di dimostrare ad un paziente che ci eravamo preoccupati di lui come persona non solo in termini occasionali e, vagamente, mercantili, ma come autentica partecipazione ai suoi problemi ed alle sue esperienze contestuali. Particolarmente grave è, al riguardo, scrivere documentazioni generiche e non aggiornate: questo può costituire la fonte di gaffe o di gravi errori che, per il paziente, sono soltanto segno di trascuratezza e mancanza di personalizzazione.
Per realizzare e gestire con costante precisione tutti gli elementi dell’anamnesi contestuale, da più di 50 anni ero solito gestire una cartella, denominata “psico-comportamentale”, nella quale venivano analiticamente trascritti tutti gli elementi contestuali che raccoglievo come dentista. Oggi tutta questa documentazione è grandemente facilitata dal fatto di poter essere raccolta, e conservata, con strumenti digitali. Raccoglieremo, pertanto, in un apposito file del computer, tutti gli elementi raccolti. Questo faciliterà il loro reperimento e la loro utilizzazione ogni volta che, stando per incontrare il paziente, ci potremo riferire con richiami agli argomenti contestuali in nostro possesso.
3. RIORDINO
Sono rari i pazienti che incontriamo una volta sola, mentre è, invece, la regola, che alla visita iniziale faccia seguito una serie di appuntamenti che, nei casi più positivi, si ripetono, per terapia e/o per prevenzione, lungo anni o addirittura decenni.
Questa lunga frequentazione impone una serie di attenzioni che dobbiamo mettere in atto per continuare a dimostrare, ininterrottamente e direttamente, nel tempo, che a noi sta a cuore la persona oltre che, naturalmente, la gestione della malattia, causa originaria del primo incontro. ●