La voluntary disclosure: l’ultima occasione per evitare il peggio


Come già abbiamo avuto modo di segnalare sulle pagine di questa rivista, il tema della regolarizzazione dei capitali detenuti all’estero, in violazione della normativa sul monitoraggio fiscale, tiene ormai banco sulle pagine di diversi giornali specialistici da più di un anno.
In realtà il tema, seppur di nicchia, interessa fortemente diversi casi di contribuenti italiani vista la sua portata dirompente. Inoltre, l’occasione per mettersi in regola può riguardare anche le violazioni commesse rispetto alla normativa fiscale nazionale.
Tuttavia, non si farebbe un gran parlare della procedura, visti gli alti costi (ma dipende molto da caso a caso) e i rischi connessi, se non si fosse davvero obbligati ad aderire a questa ultima opportunità di regolarizzazione.
Pur avendo già segnalato in passato la tendenza irreversibile, a parere di chi scrive, verso una futura trasparenza delle informazioni finanziarie in condivisione tra i vari stati europei e mondiali, gli avvenimenti di questi ultimi mesi hanno ulteriormente confermato la necessità di cogliere questo “ultimo treno”.
Probabilmente, chi è interessato da questa problematica non si approccia al tema per la prima volta, ma questo articolo può servire per convincersi definitivamente dell’inevitabilità della procedura.
Inoltre, chiunque possieda uno o più beni all’estero, pur regolarmente segnalati nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, farebbe meglio a verificare con il proprio commercialista la correttezza della compilazione del suddetto quadro (vista la notevole complessità che comporta e la difficoltà nel reperire le informazioni corrette).
Trattandosi di una rivista non specialistica per il settore fiscale, ricordiamo che il presente articolo ha unicamente scopo divulgativo ed è finalizzato ad aggiornare il lettore su una tematica importante e particolarmente complessa.
Ricordiamo ancora una volta che questa procedura non rappresenta certamente una riedizione dei passati scudi fiscali: la voluntary disclosure presuppone che le imposte all’epoca non pagate siano ora versate per intero con uno sconto, in alcuni casi particolarmente rilevante, sull’importo delle sole sanzioni connesse al mancato pagamento/dichiarazione. Per completezza, insieme allo sconto sulle sanzioni si ha anche una riduzione dei periodi di imposta ancora potenzialmente oggetto di controllo (solamente nei casi in cui siano interessati Paesi che hanno firmato entro il 2 marzo 2015 un accordo per l’avvio dello scambio di informazioni in ambito fiscale come, ad esempio, la Svizzera, Montecarlo e il Liechtenstein). Infine per chi aderisce alla procedura è prevista una sanatoria per alcuni reati tributari.

Cosa è cambiato nei primi mesi del 2015?

La firma degli accordi per lo scambio di informazioni
La firma da parte dell’Italia, nei mesi di febbraio e marzo 2015, di tre appositi accordi per lo scambio di informazioni ai fini fiscali con la Confederazione Elvetica (23.02.2015), il Principato del Liechtenstein (26.02.2015) e il Principato di Monaco (02.03.2015) va vista nell’ottica del meccanismo del “bastone” e della “carota” che il legislatore italiano ha deciso di adottare in merito al tema in analisi. La firma di questi accordi infatti ha una duplice funzione:

  • la prima consiste nel rendere molto alto, se non certo, il rischio per un contribuente che non decide di aderire alla procedura di regolarizzazione di essere in futuro scoperto dall’Amministrazione finanziaria (deterrente);
  • la seconda è quella di ridurre di fatto l’importo delle sanzioni, e in alcuni casi anche delle imposte, che devono essere pagate allo Stato italiano per regolarizzare la posizione all’estero (incentivo).

Inoltre non va dimenticato che dal 2017 o dal 2018, a seconda degli Stati suddetti, entrerà in vigore il c.d. “scambio automatico di informazioni” che consentirà appunto di ottenere informazioni in modo automatico sui contribuenti italiani che abbiano attività finanziarie in questi tre Stati (e non solo!).
Prima di queste date, che ad oggi possono sembrare ancora lontane, va però segnalato che potrà essere attivato (e con buona probabilità così sarà) uno scambio di informazioni “su richiesta”. In sostanza, il Fisco italiano potrà richiedere informazioni su contribuenti italiani per i quali vi sia un sospetto di evasione o di irregolarità negli investimenti detenuti all’estero. I requisiti per poter effettuare tale richiesta, che appunto non la rendono automatica, sono diversi tra Svizzera (più restrittiva in quanto la richiesta deve essere nominativa), Monaco e Liechtenstein e risultano essere particolarmente tecnici.
Ai fini del presente articolo, e per fugare ogni dubbio sull’utilità della voluntary disclosure, basti però segnalare che le richieste di gruppo (quindi non nominative) saranno ritenute valide dal Principato Monaco e dal Liechtenstein se riguardanti i seguenti casi:

  • conti chiusi tra la data della firma dell’accordo (26.02.2015 o 02.03.2015 a seconda dei casi) e la data di attivazione dello scambio automatico di dati (2017-2018); in tale definizione rientrano i conti chiusi per trasferimento verso altra banca e/o prelevamento in contanti);
  • conti ancora in essere sia alla data della firma dell’accordo, sia alla data di scadenza del programma di voluntary disclosure (30.09.2015), che:
    • o abbiano un saldo superiore a 15.000,00 euro al 31.1.2015 (Liechtenstein) o al 28.2.2015 (Monaco);
    • o abbiano, alla fine del mese della data di scadenza della voluntary disclosure (ad oggi il 30.09.2015), un saldo inferiore del 50% rispetto all’ammontare del conto al 31.1.2015 (Liechtenstein) o al 28.2.2015 (Monaco);
  • conti inattivi ossia né chiusi, né sostanzialmente svuotati, mantenuti sino alla data alla quale verrà adottato lo scambio automatico di informazioni (2017-2018).

Parlando di incentivi, invece, i vantaggi derivanti dalla firma dei suddetti accordi per lo scambio di informazioni sono principalmente di due tipi. Il primo consiste, per i soli casi dei Paesi che hanno sottoscritto tali accordi o simili, in una riduzione dei periodi di imposta che devono essere oggetto di sanatoria (la regolarizzazione invece di riguardare gli anni dal 2004 al 2013 è limitata ai periodi dal 2009 al 2013). Pertanto, ove in questi periodi esclusi vi siano redditi non dichiarati, che non generino condotte di rilevanza penale, gli stessi redditi non dovranno più essere oggetto di regolarizzazione (pagamento).
Il secondo incentivo riguarda l’entità delle sanzioni connesse all’omessa segnalazione nel quadro RW; la sanzione viene equiparata, per i Paesi firmatari, a quella prevista per i Paesi cosiddetti white-list (che rispetto alle sanzioni previste per i Paesi black-list sono dimezzate).

La pubblicazione
della Circolare n. 10/E
dell’Agenzia delle Entrate
Raramente la pubblicazione di una Circolare è stata così attesa dagli addetti ai lavori come quella emanata il 13 marzo 2015 dall’Agenzia delle Entrate proprio in tema di voluntary disclosure.
Una Circolare, seppur importante, è solitamente l’espressione delle interpretazioni di una delle parti oggetto del rapporto Fisco-contribuente; in questo caso riveste un’importanza fondamentale in quanto esprime le indicazioni che verosimilmente verranno seguite da tutti gli uffici che si occuperanno della pratica di regolarizzazione (in cui il contribuente è in una posizione di “debolezza”). Gli aspetti più importanti oggetto di chiarimento riguardano le cause di inammissibilità alla procedura, soprattutto in riferimento a quelle situazioni in cui sono già in essere controlli sui contribuenti che vorrebbero aderire alla procedura.
Altro aspetto particolarmente rilevante riguarda le situazioni in cui il contribuente italiano detenga attività finanziarie non direttamente, ma per interposta persona, ossia attraverso strumenti quali fondazioni, società, trust spesso domiciliati in paradisi fiscali che non hanno sottoscritto gli accordi per lo scambio di informazioni. In tali casi l’Amministrazione finanziaria ha assunto posizioni interpretative volte a individuare la sostanza del rapporto esistente e volte a privilegiare l’accesso alla procedura di regolarizzazione (ampliandolo fin dove consentito dalla norma). Sono inoltre stati chiariti alcuni aspetti dubbi connessi ad una modalità semplificata, denominata “metodo forfettario”, per conteggiare i soli redditi finanziari derivanti dalle attività detenute ed investite all’estero attraverso strumenti finanziari.
Grazie a tali chiarimenti, la cui natura prettamente tecnica esula dalle finalità del presente articolo, la procedura può finalmente trovare un’applicazione pratica effettiva.

Conclusioni

Pur alla luce degli ultimi chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate, la procedura di voluntary disclosure rimane con numerosi interrogativi tecnici irrisolti e con rischi non ancora ben delineati dal punto di vista professionale e imprenditoriale per chi volesse aderirvi.
Tuttavia il maggiore appeal della procedura è legato al fatto che non vi siano alternative possibili.
Se si esclude la possibilità di effettuare il c.d. “ravvedimento operoso”, ossia la possibilità concessa al contribuente di regolarizzare gli errori compiuti nel passato a fronte dell’integrale pagamento delle imposte e con alcuni sconti sul fronte delle sanzioni (una possibilità simile a quella della voluntary disclosure ma senza una procedura specifica e con sconti più limitati), la voluntary disclosure rimane l’unica alternativa plausibile per evitare di incorrere in sanzioni potenzialmente pesantissime.
Come al solito, ma in questo caso a maggior ragione vista la complessità con cui ha preso forma la procedura, è necessario farsi assistere dal proprio commercialista di fiducia, a condizione però che ben conosca la specifica procedura.
Un minimo errore o una disattenzione potrebbero infatti costare caro al contribuente. ●

È saggezza riconoscere la necessità quando tutte le altre vie sono state soppesate, benché possa sembrare follia a chi si appiglia a false speranze.

JRR Tolkien

Umberto Terzuolo
Alessandro Terzuolo

A cura di: Studio Terzuolo-Brunero e Associati