Il passaggio generazionale dello studio: falsi miti e consigli preziosi

passaggio generazionale

L’argomento del passaggio generazionale viene spesso citato, non certo solo nel modo dell’odontoiatria (e a volte anche a sproposito), ma raramente se ne fornisce una definizione.

Permetteteci, pertanto, una precisazione: con l’espressione “passaggio generazionale” intendiamo sia un cambiamento della titolarità dello studio nell’ambito del nucleo familiare, anche allargato, sia il cosiddetto “ricambio generazionale”, ossia il passaggio organizzato dello studio, o per meglio dire dei pazienti, a soggetti che nulla hanno a che vedere con il nucleo familiare del professionista di riferimento.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, ci sembra utile riportare alcuni dati e trend che l’odontoiatra dovrebbe sempre ben tenere in considerazione quando si approccia a questo argomento:

  • l’età media degli odontoiatri invecchia di anno in anno e di circa 10 mesi all’anno, per rendere l’idea;
  • l’età media in Italia è di 45 anni (dato Istat 2019) ed è in costante aumento;
  • l’età media degli odontoiatri è di circa 57 anni;
  • i nuovi ingressi nel mondo della professione sono limitati dal numero programmato delle università italiane e, anche considerando i laureati all’estero, non superano i 1200 nuovi odontoiatri all’anno;
  • da diversi anni si ha un incremento della concentrazione del numero di pazienti su un numero ridotto di strutture (in sostanza i pazienti si stanno concentrando sempre di più su alcuni studi rispetto ad una generale dispersione).

Tutti questi dati e trend di settore portano sostanzialmente a due conclusioni:

  1. sta aumentando il numero di odontoiatri che si avviano verso la pensione in rapporto al numero di odontoiatri che si affacciano al mondo della professione;
  2. il punto uno conduce a un aumento dell’offerta di studi “in vendita” rispetto al numero (la domanda) di odontoiatri che vogliono aprire o rilevare studi.

Per capire, però, come si muove il rapporto tra domanda e offerta, in questo specifico ambito, occorre tenere in considerazione anche il numero dei pazienti. Questo numero è legato a due fattori: il numero della popolazione residente in Italia e il livello di accesso alle cure odontoiatriche. Se anche il trend demografico del nostro Paese non fosse in calo ma fosse stabile (in realtà nel 2019, ultimo anno disponibile, vi è stato un calo dello 0,29%), bisognerebbe capire se il numero di italiani (intesi come residenti nel nostro Paese) che si rivolge al dentista sta aumentando o si sta riducendo.

Si deve, infine, anche ricordare che dal 2006 in poi non esistono più solo gli odontoiatri ad operare nel mondo odontoiatrico ma vi sono anche le società, in alcuni casi di proprietà di odontoiatri stessi, in altri casi di proprietà di imprenditori non odontoiatri (si pensi soprattutto alle c.d. catene).

In poche parole, il mondo odontoiatrico continua a cambiare e, pertanto, devono anche cambiare i preconcetti e i paradigmi che guidano il professionista ad approcciarsi al tema del passaggio generazionale.
Permetteteci ora di sfatare due falsi miti:

  1. si deve iniziare a pensare al passaggio generazionale nel momento in cui si sta per andare in pensione;
  2. i pazienti sono molto legati all’odontoiatra di cui sono stati pazienti negli anni passati e col suo pensionamento decideranno di cambiare studio.

Riteniamo entrambe le affermazioni profondamente sbagliate e alla base dei principali casi di insuccesso nel tramandare il proprio studio ad altri.
Ma se i punti sopra evidenziati rientrano nelle cose da non fare, qual è il modo migliore per favorire un passaggio di successo del proprio studio?

Cosa serve affinché il passaggio generazionale
non sia un’avventura?

Frequentemente ci capita di venire contattati, per la verità ormai quasi giornalmente, da professionisti, di diverse regioni d’Italia, che intendono cedere il proprio studio. Il più delle volte, purtroppo, questi professionisti non hanno la minima idea né di quanto valga il proprio studio né di come fare a cederlo. Per essere più precisi, alle volte un’idea vaga del valore del proprio studio è presente nei professionisti (magari perché frutto di una limitatissima esperienza di qualche amico collega o conoscente) ma, permetteteci di dire in tutta franchezza, è molto spesso errata.
In questi casi e se non guidati, i professionisti che vogliono vendere uno studio si avviano verso una vera e propria avventura, ossia un’impresa rischiosa, ma attraente e piena di fascino (economico), caratterizzata da aspetti ignoti e imprevisti (e spesso spiacevoli).
Procediamo però per gradi e proviamo a delineare insieme un percorso logico che ci permetta di programmare questo processo.
Partiamo dalla valutazione, ben sapendo che il valore economico di uno studio odontoiatrico, così come per tutti gli ambiti professionali, non rappresenta mai un dato oggettivo, ma può inserirsi in un range di valori che variano molto in virtù del soggetto potenziale acquirente e delle modalità e condizioni di passaggio.

Muoversi uno o due anni prima della pensione significa,
molto probabilmente, non avere il tempo di individuare nessuna figura “interna”, limitandosi quindi alle opzioni
di persone o aziende esterne

Tab. 1

1.

È, innanzitutto, opportuno capire se il proprio studio produce un utile sia a livello professionale sia a livello imprenditoriale oppure no. Si deve in sostanza comprendere se l’utile (la differenza tra i ricavi e i costi o, per i professionisti, i compensi incassati e le spese sostenute) deriva dal tempo che il professionista dedica all’attività clinica diretta, il c.d. compenso implicito dell’odontoiatra, oppure vi è anche una parte di utile che deriva dalla buona gestione dello studio e che vi sarebbe anche se il titolare – o i titolari – dello studio fosse un soggetto del tutto esterni (e quindi pagati come collaboratori). Per fare un esempio numerico, si ipotizzi uno studio che fattura € 500.000 all’anno ed abbia € 360.000 di costi. L’utile sarà quindi di € 140.000 (lordi prima del pagamento delle tasse).

Ipotizziamo che il professionista esegua personalmente, rispetto al totale delle prestazioni, circa € 330.000 di prestazioni cliniche. Ipotizziamo di applicare anche al professionista titolare dello studio il compenso medio dei collaboratori “esterni” che sono pagati circa il 30% del valore delle prestazioni da loro eseguite sui pazienti. Ne deriva, quindi, che l’utile dello studio di € 140.000 è in realtà rappresentato da € 99.000 di utile professionale (dato dal 30% applicato a 330.000) e per € 41.000 da utile imprenditoriale, cioè da quell’utile teorico che si avrebbe anche se il professionista non lavorasse clinicamente sul paziente, pur rimanendo titolare dello studio.

Per agevolare il lettore, si riepiloga l’esempio numerico suddetto nella tabella 1.
Queste valutazioni e considerazioni sono valide sia che lo studio sia costituito in forma di partita Iva individuale, sia che sia costituito in forma di studio associato sia, infine, che sia costituito in forma societaria (società di capitali, anche tra professionisti, o di persone), anche se in quest’ultimo caso il compenso del titolare sarà già evidenziato nella contabilità, anche se spesso, per esperienza, viene sottostimato.

Spesso, prendere coscienza di questo pur semplice conteggio (utile professionale ed utile imprenditoriale) apre gli occhi al professionista. Ci si rende finalmente conto se quel che si guadagna sia il frutto della sola attività di odontoiatra, che verosimilmente si otterrebbe anche andando a lavorare presso altre strutture con probabilmente meno pensieri e preoccupazioni (e sicuramente anche qualche soddisfazione in meno), oppure se, oltre alla remunerazione dell’attività clinica, vi sia anche un utile che deriva dalla corretta organizzazione di tutto il team clinico ed extra clinico.

Capita, a volte, che l’odontoiatra realizzi di guadagnare meno nel proprio studio rispetto a quanto potrebbe guadagnare come collaboratore in altre strutture (a parità di produzione clinica sul paziente ovviamente e determinando una percentuale di remunerazione per la collaborazione).

Si badi bene: questa presa di coscienza non è, per fortuna, né sempre valida, né, da sola, atta a giustificare cambi completi di paradigma (cioè passare da libero professionista titolare di uno studio a collaboratore). Ogni caso va analizzato nel dettaglio e complessivamente considerando aspetti relazionali, psicologici e non solamente economici. Fatto sta che uno dei principali dati di pertinenza della valutazione di uno studio è l’utile (sia nel metodo dei multipli, sia nel metodo reddituale, sia nel metodo misto patrimoniale/reddituale, sia indirettamente nei metodi dei flussi finanziari).

Il mondo odontoiatrico continua a cambiare e, pertanto, devono anchecambiare i preconcetti e i paradigmi che guidano il professionista ad approcciarsi al tema del passaggio generazionale

2.

Un’altra delle attività propedeutiche al passaggio generazionale è quella di identificare uno o più cluster (categorie omogenee) di acquirenti potenziali dello studio. Solitamente i cluster sono i seguenti:

  1. friends and family (parenti, affini, amici stretti, etc.);
  2. odontoiatri conosciuti “interni” (ossia colleghi che già sono soci o “semplicemente” collaboratori dello studio, con tante possibili situazioni peculiari differenti);
  3. odontoiatri conosciuti “esterni” (ossia colleghi che lavorano in altri studi ma che sono conosciuti più o meno bene, sia umanamente che professionalmente);
  4. investitori (ossia soggetti, privati o imprenditori, che dispongono di capitale e decidono di credere in una struttura di successo per ottenere un ritorno economico in un tempo più o meno lungo o breve), senza però volersi fare coinvolgere operativamente;
  5. imprenditori non odontoiatri, singoli o più organizzati, fino ad arrivare, al massimo grado di complessità, a catene con alle spalle fondi di investimento, italiani od esteri, di rilevanti dimensioni.

In prima istanza, il professionista dovrà capire se conosce o ha intenzione di coinvolgere alcuni dei soggetti indicati nelle categorie sopra riepilogate. I valori di vendita, le strategie di avvicinamento, le strategie di negoziazione e le tutele giuridiche da porre in essere saranno completamente diverse a seconda dei cinque casi sopra ricordati. Pensare di rivolgersi a tutti e cinque i cluster insieme e contemporaneamente è probabilmente la strategia meno adatta, salvo che non si disponga di parecchio tempo, nonché di notevole flessibilità mentale.

Nella tabella 2 si incrociano i suddetti cluster con alcuni aspetti chiave (come la massimizzazione economica della vendita, la facilità emotiva nel “lasciare” il proprio studio, la delicatezza di aspetti di tutela giuridica) per capire cosa aspettarsi e a cosa stare attenti.

Tab. 2

3.

Un altro dei fattori chiave per arrivare all’obiettivo è quello di farsi supportare nella fase di impostazione del passaggio generazionale da un professionista o da un’equipe di professionisti competenti in tale ambito (passaggio generazionale ed M&A, ossia mergers and acquisition) ed esperti nel settore odontoiatrico.

4.

Forse il punto veramente più importante è rappresentato dal partire per tempo. Si deve affrontare il passaggio generazionale in un’ottica di processo e non di un evento singolo. Considerare il passaggio come un evento, e non come un processo composto di varie fasi, può disincentivare il titolare a valorizzare la formazione dei futuri “eredi professionali”, impedendo lo sviluppo di competenze adeguate (non solo cliniche!) e magari anche di idee innovative, all’interno dello studio.

È, invece, indispensabile comprendere che la trasmissione della leadership, se si individua una persona legata da vincoli emotivi più o meno forti, arriva solo al culmine di un percorso che passa anche attraverso l’adeguamento di tutta la struttura ai valori “aziendali”. Muoversi uno o due anni prima della pensione significa, molto probabilmente, non avere il tempo di individuare nessuna figura “interna”, limitandosi quindi alle opzioni di persone (odontoiatri e non) o aziende esterne.

Tale approccio sposta tutto il focus su aspetti meramente economici, per di più raramente premianti se si ha fretta. Il processo va impostato con almeno un triennio o un quinquennio di anticipo rispetto al momento in cui si vuole smettere di fare l’odontoiatra. Questa condizione è molto spesso il vero fattore critico di successo dell’operazione, perché permette o meno di affiancare al nuovo professionista o ai nuovi professionisti, l’esperienza e il tempo del professionista che vuole cedere il proprio studio.

5.
Una volta impostati i primi quattro fondamentali aspetti, si potranno identificare in pratica la migliore strategia operativa e la tempistica corrette per raggiungere l’obiettivo finale. Ci si dovrà, quindi, occupare di aspetti economici, di impostazione giuridica dell’operazione e, di lecita ottimizzazione fiscale attraverso corrette forme societarie e/o contrattuali.

Il processo va impostato con almeno un triennio
o un quinquennio di anticipo rispetto al momento in cui si vuole smettere di fare l’odontoiatra

Consigli pratici per il “processo del passaggio generazionale” dello studio

Prima di affrontare le conclusioni ci preme sottolineare altri fattore chiave per realizzare un buon “passaggio di studio”:

1.

dotarsi di un efficiente sistema di controllo di gestione e di rendicontazione dei dati dei pazienti. È una condizione importante, peraltro utilissima anche in assenza di “passaggio” di studio e consente di fornire dati precisi e certi (ad esempio sul fatturato derivante dall’igiene, dalla protesi, dall’ortodonzia, dall’implantologia, dall’endodonzia, etc., nonché la loro evoluzione negli anni), i quali agevolano notevolmente tutte le valutazioni economiche. Grazie al controllo di gestione saranno sicuramente ridotte le aree oggetto di incertezza, come il numero di nuovi pazienti in un anno, di preventivi accettati ad esempio, con un maggior vantaggio sia in termini di prezzo per chi vende che in termini di sicurezza per chi acquista. Infine, dotarsi di una contabilità, cosiddetta ordinaria (un po’ più complessa e costosa), fornisce una serie di informazioni contabili, quali ad esempio i crediti e i debiti, di notevole importanza per un potenziale acquirente nonché per il venditore;

2.

la presenza in studio di collaboratori odontoiatri, igienisti e non, purché fidati e competenti, è un importante punto di forza. Più sono i collaboratori, minore sarà, in quota parte, l’importanza del professionista titolare e, pertanto, sarà più facile mantenere il rapporto di fiducia con il complesso della pazientela.

Una struttura ben oliata ed efficiente aumenta il valore dello studio, anche se sarà un aspetto di importanza cruciale per l’acquirente fidelizzare anche i collaboratori che già lavorano nella struttura. Infatti, un alto ricambio di personale e collaboratori potrebbe portar via pazientela o competenze importanti per lo studio;

3.

saper delegare. Questo aspetto nelle realtà professionali più piccole rappresenta forse il principale ostacolo a un buon passaggio di consegne. La mancanza di delega è spesso la conseguenza di alcune convinzioni psicologiche dei titolari (della serie: come faccio bene io questo lavoro non lo fa nessuno).

È invece importante formare collaboratori, odontoiatri e non, fissando peraltro obiettivi chiari per ciascun collaboratore, spiegando minuziosamente il modo in cui eseguire i propri compiti, valutandone i risultati, correggendo e motivando le risorse interne senza delegare il controllo (ma delegando le attività operative). Tutte queste attività rendono più organizzata ed autonoma la struttura favorendo notevolmente la sua tramandabilità;

4.

occuparsi di aspetti extra-clinici. Investire tempo, ed eventualmente denaro, in comunicazione e marketing (etici e personalizzati), gestione delle risorse umane, corsi di formazione e studio di aspetti non meramente clinici, pur senza dimenticare di rivolgersi a soggetti competenti ed onesti.

Non bisogna dimenticare le politiche di fidelizzazione dei pazienti, tra cui, ad esempio, l’utilizzo strutturato di richiami per l’igiene per tutti i pazienti, l’invio di newsletter e comunicazioni, un sito internet utile ai pazienti. Trattamenti di riguardo per famiglie, gruppi di pazienti o per chi ha segnalato un paziente rappresentano altri fattori da considerare nella valutazione. In generale avere tutte queste aree sotto controllo aumenta non di poco la salute presente e futura dello studio;

5.

un’elevata compliance (ossia il rispetto) delle regole fiscali, giuslavoristiche, privacy, di impiantistica, igiene e sterilizzazione, assicurative, giuridiche e normative in genere favorisce certamente una valutazione positiva dello studio, in quanto riduce le potenziali aree di rischio che potrebbero ricadere sulle spalle del futuro acquirente;

6.

coltivare relazioni personali con colleghi, associazioni di categoria o persone influenti nel mondo odontoiatrico locale e non. Quest’abitudine permetterà non solo di migliorare noi stessi grazie al confronto costruttivo con altri colleghi, ma costituirà quella preziosa rete di relazioni fondamentale nella ricerca di possibili acquirenti, conosciuti e non, per il futuro.

7.

la conduzione dell’attività odontoiatrica attraverso il cosiddetto centro dentale (società di capitali in forma di S.r.l. o S.p.A.) anche detto ambulatorio odontoiatrico. La scelta di questa forma giuridica non garantisce di per sé il successo di un’operazione di passaggio generazionale, che richiede la preparazione preventiva di un percorso, ma fornisce certamente, dal punto di vista giuridico e tributario, una serie di meccanismi e soluzioni di grande utilità per chi si trova ad affrontare il passaggio dello studio.

Conclusioni

Il migliore consiglio che ci sentiamo di darvi è quello di realizzare da subito il momento ideale in cui si vorrà cedere la titolarità del proprio studio e organizzarsi con almeno un triennio o meglio un quinquennio di tempo in anticipo. Il tutto per potersi adeguatamente formare e valutare tutte le componenti, seppur sinteticamente, trattate in questo articolo.

Il processo del “passaggio generazionale”, infatti, è qualcosa di complesso e delicato, che va affrontato, necessariamente, sotto diversi profili:
sotto l’aspetto umano e dei rapporti personali nella ricerca dell’acquirente;
dal punto di vista della valutazione economica (non solo dell’utile ma, soprattutto, in riferimento al data-base pazienti);
comprendendo i risvolti giuridici e mettendo in campo le necessarie tutele;
con riguardo ai risvolti fiscali, cercando la soluzione migliore.
Non dimenticate infine che più un’attività è complessa più è necessario pianificarla. ●

“L’avventura è soltanto cattiva pianificazione.”
Roald Amundsen